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ABE: Notai e avvocati del Regno di Napoli

Galateo da Galatone, uomo edito e inedito: storie napoletane di Antonio de Ferraris a 500 anni dalla morte in quel di Lecce

Galateo da Galatone, uomo edito e inedito: storie napoletane di Antonio de Ferraris a 500 anni dalla morte in quel di Lecce

Virgilio Iandiorio

Libro: Libro rilegato

editore: ABE

anno edizione: 2025

pagine: 120

La corte dei re Aragonesi richiamava in Napoli gli uomini di cultura dalle province del Regno, non solo, ma anche dall'Italia e da altri paesi europei. Giovanni Gioviano Pontano, nato a Cerreto di Spoleto (Perugia) bel 1429, restò accanto ai regnanti aragonesi fino alla fine della sua vita nel 1503, e divenne l'elemento catalizzatore per tanti uomini di cultura del Regno. Ai re Aragonesi non dispiaceva certamente essere circondati da personaggi famosi per le loro attività artistiche e professionali. Tra i molti protagonisti di questo «Rinascimento» meridionale" un posto importante va dato ad Antonio De Ferrariis, che assunse il nome di Galateo dalla sua città natale. Era nato, infatti, a Galatone, città del Salento; l'anno di nascita non è meglio precisato tra il 1444 e il 1448. Studiò greco antico in gioventù a Nardò e a San Nicola di Casole (vicino Otranto). Galateo si occupò di studi filosofici e della medicina. All'invito di re Ferdinando I, egli divenne medico alla corte aragonese in Napoli. Mantenne strette relazioni con gli umanisti meridionali, quali Giovanni Gioviano Pontano, Pietro Summonte, Belisario Acquaviva e soprattutto Jacopo Sannazaro. Fondò l'Accademia Lupiense a Lecce. A causa dello scontro franco-ispanico, nel 1501 da Napoli ritornò nel Salento, dove si dedicò alla revisione dei suoi scritti e alla composizione di nuovi lavori. Morì a Lecce il 12 novembre 1517. Pietro Antonio De Magistris, vissuto a cavallo tra il XVI e XVII secolo, scrisse la biografia di Antonio Galateo, che Giovanni Bernardino Tafuri inserì nella premessa all'edizione del 1727 De Situ Japygiae dell'illustre galatonese , ma che già era apparsa la prima volta nella ristampa dell'opera a Napoli nel 1614. Ecco come si presentava, nell'aspetto fisico, Antonio Galateo. "Fu egli di ottima tempra -scrive il de Magistris -, di corpo giusto e quadrato, però obeso; di testa un po' grande; di fronte larga ed elevata; di occhi azzurri, che sono indizio di grande acume di mente; fu di colore vivace, di faccia gaia, bella e veneranda… Usava assai parcamente di cibo e di sonno, era pago di cena semplice. Alla terza o quarta ora della notte andava a dormire, alla nona o decima si levava". Queste le sue caratteristiche morali e culturali:" Fu persecutore dei vizi, amante di virtù, ammiratore di antichità; nemico dell'ignoranza, facilmente tollerava che fosse vinto dalla ragione; aborriva la millanteria; gli piacque però non poco quella socratica ironia, ma in modo che egli era più fiero di lingua, che di fatti, come si raccoglie dalla Descrizione di Gallipoli… Egli fu filosofo e medico assai celebre, molto versato nelle matematiche e nello studio della cosmografia; peritissimo nella greca e latina lingua, e in ogni altra disciplina così erudito, che da tutti i dotti del suo tempo era appellato onnisciente. Fu primo medico di Ferdinando I, re di Napoli. Da Alfonso II fu ricolmo di benefizi". Così il biografo descrive la morte del Nostro: «Galateo, nell'anno del Signore 1517, ai 12 di novembre, nell'ora settima della notte, come si ricava dal libro sull'educazione a Crisostomo, morì di anni 73 in Lecce, ed ivi nella chiesa di San Giovanni dell'ordine dei predicatori si legge sul sepolcro di lui questo epitaffio, che egli stesso si compose». «Quel Galateo che conobbe le arti mediche e le stelle del cielo giace sepolto in questo luogo; ei che concepì nella mente il mare, la terra e gli astri, vedete, o mortali, quanto piccola tomba lo racchiude». Il libro De situ Japygiae ripubblicato dal neretino Giovanni Bernardino Tafuri (Nardò 1695-1760) contiene, oltre alla suddetta biografia del Galateo, una silloge di giudizi critici sull'autore, e anche suoi componimenti poetici.
39,00

Islam a Telesia, le incursioni arabe e saracene nel Sannio longobardo. Viaggio nel tempo sulle invasioni che portarono devastazioni, epurazioni e saccheggi fra Volturno e Calore, raggiungendo il cuore della Valle Telesina di Telese

Emilio Bove

Libro: Libro rilegato

editore: ABE

anno edizione: 2024

pagine: 144

Una trasmissione radiofonica, parodia dei Tre Moschettieri di Dumas, fu sponsorizzata dalle due più importanti aziende italiane della catena alimentare: la Buitoni, nata nel 1827 a Sansepolcro in provincia di Arezzo e la Perugina, famoso marchio alimentare di rilievo nazionale, creato nel 1907 da Francesco Buitoni, Luisa Spagnoli e da suo marito Annibale. Tra tutte le figurine, quella maggiormente ricercata fu il "feroce Saladino", una vera e propria rarità. Per volere delle ditte, quella figurina venne distribuita così poco da farla diventare merce di scambio in una sorta di mercato nero. ll movimento creatosi intorno a questo personaggio, lo fece diventare celebre. L'immagine del saraceno raggiunse quotazioni notevoli e contribuì in maniera determinante al successo dell'iniziativa pubblicitaria scatenando una morbosa curiosità intorno a questa figura. Chi era il feroce Saladino? L'immagine proposta nel disegno delle figurine era frutto della fertile matita di un disegnatore torinese Angelo Bioletto e rappresentava l'icona stessa della ferocia musulmana. Un vero e proprio terrorista ante litteram. L'espressione arcigna, il naso prominente, la fronte corrugata sotto l'elmo con la mezzaluna rappresentavano i tratti salienti del guerriero che veniva raffigurato mentre imbracciava uno scudo ed una scimitarra. Ancor oggi la sua figura si presta a parecchie similitudini con i più moderni combattenti palestinesi o ai guerriglieri dell'Isis. Il mito del feroce Saladino, figura favolosa dall'alone quasi mitologico, altro non è che il prodotto di una cultura di derivazione medievale che riteneva gli Arabi esseri inferiori, rozzi e primitivi, infedeli in quanto non aderenti alla chiesa cristiana e pertanto indegni di appartenere alla civiltà latina. Nei libri di storia, Saladino viene riconosciuto come il sultano d'Egitto e di Siria, fondatore della dinastia degli Ayyubiti. Di ortodossia sunnita, combatté incessantemente i crociati estendendo il suo dominio dall'Egitto alla Palestina, dalla Siria allo Yemen. Le sue gesta impavide ispirarono poeti e scrittori e diedero vita ad una fiorente letteratura, oltre che a film e a spettacoli musicali. La sua figura di condottiero audace e spietato fu raccontata da numerosi cantori, che posero in risalto l'abilità guerriera e la crudeltà ma anche le virtù cavalleresche, la prudenza e la razionalità nell'assumere decisioni politiche. Lo stesso Dante lo citò nel Convivio e nella Divina Commedia ponendolo nel limbo, tra gli spiriti "magni". Da questa premessa è partita la penna del dottore Emilio Bove per ricordarci delle invasioni musulmane nel Mezzogiorno. Con un excursus dai Longobardi all'Età moderna, allorquando le fazioni in lotta chiamarono a combattere sotto le loro insegne truppe mercenarie islamiche che trasformarono il Sannio in terra di incursioni e di saccheggi e si trasformarono da semplici mercenari in veri e propri conquistatori. Vasti territori del Sannio furono investiti dalle loro scorribande. Gli aggressori proruppero dovunque senza eccessivi problemi: giunsero al mare, risalirono lungo il corso dei fiumi, avanzarono a cavallo attraversando terre incolte e abbandonate. I loro condottieri divennero tristemente famosi: l'esercito di Halfūn al-Barbarī volse le proprie scimitarre in Puglia creando a Bari il primo emirato arabo; le bande saracene di Sāwdan al-Māzari assaltarono a più riprese la città di Telesia, devastando la cinta muraria e interrompendo le condutture dell'acquedotto, per costringere la città a capitolare. Ovunque la feroce jihād islamica contro gli infedeli fu causa di desolazione e morte.
29,00 27,55

Il ducato e Napoli medievale, le origini di una grande capitale

Il ducato e Napoli medievale, le origini di una grande capitale

Antonio Vito Boccia, Gennaro De Crescenzo

Libro: Libro in brossura

editore: ABE

anno edizione: 2024

pagine: 128

Questo testo intende rappresentare un primo tentativo di ricostruzione complessiva dell'ormai dimenticato periodo alto-medievale, vissuto dalla città di Napoli. Forse per le obiettive difficoltà di reperire fonti, noi oggi ci troviamo di fronte a un autentico paradosso: conosciamo di fatti la storia della Napoli greca e di quella romana, ma sul cosiddetto "ducato di Napoli" (definizione che utilizzeremo solo per esigenze di sintesi e semplificazione) - peraltro un periodo complesso e lungo oltre seicento anni (VI-XII secolo) - le ricerche e gli approfondimenti sono sempre stati limitatissimi. Ad esempio, se nel passato (magari per la storia della Napoli borbonica) la storiografia ha spesso utilizzato la categoria della "damnatio memoriae", per quella del ducato napoletano sono molto evidenti alcuni elementi ulteriori, come la scarsa presenza di fonti documentarie di secondo grado, unita all'assenza quasi totale di tracce archivistiche (scarsissime quelle archeologiche). Se non deriva da tali obiettive difficoltà, la curiosa dimenticanza di un periodo storico così importante potrebbe essere conseguenza di una precisa scelta… Tutto questo potrebbe essere legato ad una scelta, prima culturale e poi sostanzialmente politica: è qui che si inserisce quel dibattito che si accese, all'indomani dell'unificazione italiana, fra i sostenitori di una cultura italiana e internazionale, e quelli che sostenevano, invece, la necessità di una cultura ancora "napoletana" (nel senso più ampio del termine, associandola cioè all'idea di una nazione napoletana/meridionale). Da un lato, in realtà, c'erano l'identità, le radici e l'orgoglio: con una storia che partiva dalle remote origini greche della città che, con una sua continuità e una sua coerenza, arrivava fino ai Borbone; e, dall'altro, le tesi post unitarie di chi riteneva inutile, dannoso e superato lo studio di quel percorso, per fare spazio a nuove storie, a nuove radici e nuove identità.
20,00

Il principe schiavo e donna Giulia principessa rapita. Storie vere di Jean de Prèchac

Virgilio Iandiorio, François Delolme

Libro: Libro in brossura

editore: ABE

anno edizione: 2023

pagine: 142

"Il giovane Principe di Salerno era ben fatto, aveva molto spirito, conosceva molte lingue, in particolare la Tedesca e la Turca, e riusciva meravigliosamente in tutti gli esercizi atletici. Il Viceré ci prendeva tanto piacere, che quasi non passava giorno che non andasse a vederlo andare a cavallo, e in seguito fu così soddisfatto delle sue buone qualità, che prese la decisione di dargli in sposa Donna Catalina di Haro sua figlia unica, che era un partito dei più ricchi d'Europa, e che già molti principi avevano chiesto in sposa. Nello stesso tempo egli si risolse di dare in moglie la Principessa Giulia a Don Luigi di Guzman6 suo nipote, che era Generale della Cavalleria a Napoli. Il Principe informato di una decisione così vantaggiosa per lui, assicurò il Viceré che avrebbe avuto eterna riconoscenza per la sua bontà. La Principessa, che era una delle più belle donne d'Italia, non fu così docile come suo fratello. Ella aveva una naturale avversione per gli Spagnoli, che simulava con molta pena; ma non nascose più il suo dispiacere, quando apprese che la si destinava ad un Cavaliere di quella Nazione: i suoi genitori presero grandi precauzioni per impedire che il Viceré ne venisse informato, per paura che non cambiasse parere, e che essi non rimanessero privi dei grandi vantaggi che ne verrebbero a tutta la Casata di Salerno, da questo duplice Matrimonio. Si misero in atto tutti gli accorgimenti per persuadere la giovane; le si fece capire molto bene che con la sua resistenza avrebbe rovinato il fratello e tutta la casata. Così senza mutare i suoi sentimenti, ella acconsentì a sacrificarsi per amore del fratello, per il quale provava un tenero affetto. Il Principe, che cercava di far manifesto al Viceré in tutti i modi quanto fosse sensibile dell'onore che gli faceva scegliendolo come genero, si preparò a partire per andare in Spagna a rendere omaggio alla sua Promessa sposa; ma il Viceré lo trattene, assicurandogli che presto l'avrebbe fatta venire a Napoli e che avrebbe avuto cura di avvertirlo, quando sarebbe stato il momento di andare a incontrarla."
30,00 28,50

La casa di Orazio è sempre aperta. Le cene conviviali del poeta venosino amato da Franco, Fenelon e Leopardi

La casa di Orazio è sempre aperta. Le cene conviviali del poeta venosino amato da Franco, Fenelon e Leopardi

Virgilio Iandiorio

Libro

editore: ABE

anno edizione: 2022

pagine: 112

E' diventato slogan, spot pubblicitario, insegna di noti ristoranti il sapore dell'antico. Quasi una sorta di riflesso condizionato in un'epoca, la nostra, dove il legame con il passato è ormai quasi impercettibile, dove si discute di prodotti transgenici che impallidiscono al confronto con la supposta genuinità di quelli di una volta. E sulle nostre tavole ben fornite di ogni ben di Dio chi sa quali alimenti manipolati giungono e giungeranno. Quando il passato diventa irraggiungibile, quando la distanza tra noi e quelli che furono diventa incolmabile, ecco che questo, il passato, si colora di nostalgie, di ricordi e di miti. Questa sera siamo ospiti in casa di Quinto Orazio Flacco. «Quale che sia il piacere, me ne vado da solo, chiedo il prezzo della verdura e del farro; mi aggiro tra gli inganni circensi e nel foro spesso fino a sera, mi fermo dagli indovini, e poi me ne ritorno a casa al piatto ti porri e di ceci e frittelle. La cena viene servita da tre ragazzi e la tavola bianca sorregge due coppe con un boccale, accanto c'è una saliera di poco valore, un'ampolla con il piatto, suppellettile Campana». Cominciamo dalla tavola su cui veniva servito il pranzo. Quelli che se lo potevano permettere avevano tavolo di legno pregiato (di acero per esempio), tovaglia decente, tovaglioli nitidi, bicchieri di vetro e piatti tersi come specchi. Per la gente meno abbiente, tavola di pietra, ciotole, bicchieri di terracotta, rozza saliera, ampolla, piatto largo (per metterci un poco di tutto), stoviglie di produzione Campana, quelle a buon mercato. Negli altri giorni dell'anno il pasto principale della giornata doveva essere alquanto più frugale. Non mancavano mai legumi e ortaggi: ceci, fave ben unti in grasso lardo, lapazio, porri, malva, cavoli conditi con olio e aceto. I cavoli migliori erano quelli coltivati nei campi "asciutti", quelli coltivati negli orti irrigui erano insipidi. Uova sode bislunghe, che erano più gustose di quelle rotonde, si accompagnavano alle olive nere: le olive migliori erano quelle di Venafro, ma anche la produzione di altre regioni meridionali non era malvagia. Il primo piatto era costituito da zampetto di maiale affumicato, da salsicce, ma anche da vile trippa. Si potevano avere anche pollastri e capretti, lessati o arrostiti.
15,00

Diritto & delitti nel Cinquecento. Dialoghi veritieri sul '500 Napoletano nella Venosa di Roberto Maranta. Volume Vol. 1

Virgilio Iandiorio

Libro: Libro in brossura

editore: ABE

anno edizione: 2022

pagine: 86

Roberto Maranta nacque nel 1476 a Venosa (qui mori il 1535), in Basilicata, che all'epoca era angioina (città che peraltro, come prima detto, circa un secolo e mezzo dopo, in pieno Seicento, avrebbe dato i natali anche ad un altro celebratissimo giurista, il cardinale Giovanni Battista de Luca). Si laureò a Napoli prima del 1502 e si dedicò inizialmente e per molti anni alla professione di avvocato, all'incirca tra il 1507 e il 1520, dividendosi tra Salerno, Venosa e Molfetta. La fama così acquistata fu tanta da valergli la chiamata come professore dapprima presso l'Università di Salerno (i biografi peraltro rilevano come l'arrivo allo studium di Salerno del Maranta costituisca un importante tassello del programma mecenatesco del principe di Salerno Ferrante Sanseverino, dando il via ad una stagione di aperture a nuove discipline dopo i fasti della celebre scuola medica). Dopo l'insegnamento salernitano, quello in terra di Sicilia, probabilmente a Palermo, ed infine nella capitale, con la chiamata presso l'Università di Napoli (rimangono tuttavia ancora non ben definite le date dei passaggi da uno studium all'altro). La sua produzione fu essenzialmente pratica: l'opera che gli diede maggior fama è certamente lo Speculum aureum et lumen advocatorum, redatto tra il 1520 e il 1525 ma edito solo nel 1540 - circa 5 anni dopo la sua morte - per iniziativa del figlio Pomponio, studente padovano, sollecitato a ciò, a sua volta, da un altro grande giurista come Marco Mantova Benavides. Tra le altre opere vanno segnalate Consilia seu Responsa (edito ne1591) e Singularia et iuris notabilia (edito nel 1616). Alcune di queste opere sono conservate nella biblioteca comunale di Venosa all'interno del Castello «Pirro del Balzo». Versato negli studi letterari, scrisse poesie e sonetti in italiano ed in latino, nonché un De Sommariis delle leggi feudali, canoniche e civili, di cui ci dà notizia nella sua Cronaca, Giacomo Cenna letterato e storiografo venosino (Venosa 1560- 1640). Luigi Tansillo e Roberto Maranta erano accomunati dai natali venosini di cui erano orgogliosi. Tansillo, nella supplica al Vicerè di Napoli, diretta ad ottenere che da Venosa fossero allontanati gli alloggiamento spagnoli scrive di Maranta: - Qui nacque e qui morio ai tempi nostri il Maranta, i cui libri andano il mondo sotto il favor dei privilegi vostri. Legista incorruttibile e profondo. Filosofo cattolico e sottile, e poeta umilissimo e giocondo. Tansillo di sè stesso scrisse: - Mio padre a Nola io a Venosa nacqui. L'una l'origine mi diede l'altra cuna. Il che nei versi miei talor non tacqui. Personaggi illustri ma non celebrati adeguatamente. Nell'ambito delle manifestazioni di celebrazione del V Centenario della nascita del poeta Tansillo, l'11 settembre 2010, presso il loggiato del Castello ducale «del Balzo», il Prof. Tobia Toscano, dell'Università degli Studi di Napoli Federico II - Dipartimento Filologia moderna, tenne un pubblica conferenza. Il 24 - 25 settembre 2010, a Nola, in collaborazione con l'Ateneo Federiciano di Napoli, presso la Chiesa dei SS.Apostoli si è svolto un convegno internazionale sulla figura del poeta venosino. Alla manifestazione, come raccontano le cronache, hanno preso parte studiosi di fama internazionale: Prof. Tobia Toscano (curatore dell'evento), il Prof. Saverio Carillo, i professori Gennaro Toscano, Riccardo Nalli, Amedeo Quondam e Carlos Josè Hernando Sànchez. Per ricordare degnamente la figura di Roberto Maranta , tuttavia bisogna attendere il marzo 2017, allorquando un gruppo di avvocati della zona del Vulture-Melfese ha costituito l'associazione forense che porta il suo nome e di cui mi onoro di essere il Presidente. (Donato Bellasalma)
15,00 14,25

Diritto & delitti nel Cinquecento. Dialoghi veritieri sul '500 Napoletano nella Venosa di Roberto Maranta. Volume Vol. 2

Virgilio Iandiorio

Libro: Libro in brossura

editore: ABE

anno edizione: 2022

pagine: 86

Questo ulteriore lavoro del Prof. Virgilio Iandiorio, appassionato studioso di personaggi del nostro territorio, entusiasta ricercatore di nuovi filoni culturali, è una tappa significativa di ricerca con spunti del tutto originali su due grandi venosini, Roberto Maranta e Luigi Tansillo, giurista eccelso il primo, poeta fecondo ed originale il secondo. Questo secondo volume sulle vicende venosine del 500, diviso in due parti, accende i riflettori, con una angolazione innovativa sotto forma dell'intervista, sui due personaggi definiti minori della storia di Venosa ma che hanno invece lasciato una traccia indelebile nello studio e nell'applicazione del diritto e nella poetica nazionale. Un'iniziativa volta ad aprire ad un pubblico sempre piu' vasto la conoscenza di due illustri personaggi che sono stati parte integrante della storia e della cultura non solo nazionale. La Città di Venosa, famosa a livello internazionale per aver dato i natali a Quinto Orazio Flacco, grande poeta della latinità, a Gesualdo da Venosa, principe dei musici, a Giovanni Battista De Luca, grande giurista del 600. Pasquale del Giudice, nato a Venosa nel 1842, docente e preside della facoltà di Giurisprudenza all'Università di Pavia, deve annoverare Luigi Tansillo e Roberto Maranta nel «Pantheon» di coloro che sono parte integrante della sua storia e della sua cultura. Luigi Tansillo era una guardia personale del viceré Pedro di Toledo. Nato nel 1510 a Venosa (morì a Teano nel 1568), era nato da una famiglia della nobiltà di Nola. Entrato alla corte del viceré Toledo, lo seguì in molte spedizioni, dividendosi tra gli impegni militari e l'esercizio poetico. Conobbe ed ammirò Vittoria Colonna, strinse amicizia con Garcilaso de la Vega (che lo ricorda nelle sue Rime) e lesse i versi di Juan Boscàn, l'altro grande del Cinquecento spagnolo. Non ebbe grande fortuna editoriale in vita: i versi un po' lascivi del poemetto Il vendemmiatore gli costarono l' iscrizione nell'indice dei libri proibiti; ma bastarono i pochi sonetti pubblicati nelle antologie veneziane a fargli guadagnare la stima di lettori e critici contemporanei. Grazie ad un paio di raccolte manoscritte, Tansillo fu presto letto ed imitato non solo dai poeti spagnoli, ma anche in Francia e in Inghilterra. (Donato Bellasalma)
15,00 14,25

Detti e fatti di Napoli aragonese. Dictis et factis. Re Alfonso raccontato dal Panormita. Volume Vol. 1

Detti e fatti di Napoli aragonese. Dictis et factis. Re Alfonso raccontato dal Panormita. Volume Vol. 1

Antonio Beccadelli, Virgilio Iandiorio

Libro: Libro in brossura

editore: ABE

anno edizione: 2022

pagine: 128

Virgilio Iandiorio traduce per intero e per la prima volta il libro di Antonio Beccadelli detto Panormita. Traduzione completa dal latino al volgare.
35,00

Messeri del Rinascimento nella Benevento di Paolo III. Aneddoti di Niccolò Franco su abati, putte e streghe

Messeri del Rinascimento nella Benevento di Paolo III. Aneddoti di Niccolò Franco su abati, putte e streghe

Virgilio Iandiorio

Libro: Libro in brossura

editore: ABE

anno edizione: 2021

pagine: 106

In questi ultimi anni l'interesse per Nicolò Franco, poeta e scrittore beneventano del XVI secolo, è andato crescendo per una serie di motivazioni. La sua vicenda umana, la condanna per oltraggio e la conseguente esecuzione capitale, è stata oggetto di studio e di ricerche. Come si sa, Nicolò Franco, nato a Benevento nel 1515, dopo aver frequentato gli ambienti culturali di diverse città tra cui Napoli, Venezia, Mantova, Monferrato, Roma, finì i suoi giorni sul patibolo l'11 marzo 1570 in seguito a sentenza del Sant'Uffizio, per aver scritto pamphlet contro famiglie allora in auge nella Chiesa. I suoi libri, che per essere stati pubblicati quando fiorivano in Italia grandi poeti e scrittori, sono stati letti badando più agli accostamenti e ai confronti con essi, oggi ricevono la giusta attenzione di studiosi e lettori, dando il dovuto rilievo ad uno dei protagonisti della letteratura italiana della prima metà del Cinquecento. Per Eleonora Impieri è "Nicolò Franco un uomo di pensiero aperto alle novità intellettuali del suo tempo, degno esponente di una cultura alternativa in grado di ipotizzare e presagire l'immagine di una società felice. Non si tratta di una pura e semplice utopia, bensì di un sogno continuamente riproposto da un moralista non certo privo di contraddizioni e alieno ai compromessi, ma pur sempre vero e autentico in ogni sua dissacrante invettiva sorta dalla sua travagliata esistenza". Delle opere di Nicolò Franco l'Epistolario ha catturato il mio interesse, in particolare, per le sue annotazioni su personaggi e paesi della sua città, Benevento, e Provincia di origine, il Principato Ulteriore. Benevento ha una peculiarità: appartenere allo Stato Pontificio e trovarsi, un' enclave, nel territorio del Regno di Napoli. La città sannita fu l'unico centro urbano del Mezzogiorno che non cadde in potere dei Normanni, essendosi posta sotto la protezione della Chiesa. Nel 1077, infatti, dopo il Principato Longobardo, passò sotto il dominio del Papa e vi rimase quasi ininterrottamente fino all'Unità d'Italia. Quando nacque Nicolò Franco la città di Benevento soffriva dei forti contrasti tra i ceti dei Nobili e dei Popolani. "Dopo la proclamazione di Ferrante d'Aragona a re di Napoli a discapito della dinastia angioina, nel 1458, Benevento allora si trovò divisa in due partiti, quello "di sopra" agganciato alla Rocca e quello "di bascio" ruotante attorno al Duomo. Ciascuno di essi possedeva milizie e bandiere, all'insegna della Rosa Rossa per i soprani e della Rosa Bianca per i sottani. Tutta la città rimase coinvolta dalle dispute diventando teatro di violenze e omicidi: della torbida situazione, inoltre, profittavano banditi e criminali di ogni angolo del Reame che nell'enclave trovavano insperato rifugio. Il massimo del caos assoluto culminò nel 1528 quando settemila Lanzichenecchi di Carlo V, reduci dal sacco di Roma, raggiunsero la città occupandola per due mesi. La situazione fece riflettere i beneventani che, stimolati dalle parole di un famoso frate cappuccino, padre Ludovico Marra, assistito dal governatore Diomede de Beneinbene, si convinsero a riconciliarsi: deposte le armi, fu raggiunto l'accordo. Era il 10 febbraio 1530″. I tre libri dell'Epistolario sono di particolare interesse per ricostruire amicizie, ambienti dei luoghi di origine di Nicolò Franco. Da terra d'Otranto vengono i belli asini. In Puglia si fa buon olio. In quella Calabria gli unichi infilza perle. In Barletta i buoni melloni. In Siena i bravi ingegni. Quanti Cavalieri in quel Napoli. E ancora nomi, personaggi e stravaganze fra Benevento, Montefusco e Atripalda.
29,00

Dieci diavolerie beneventane: l'ostessa, le taverne e altre storie scritte da viaggiatori di ogni tempo

Dieci diavolerie beneventane: l'ostessa, le taverne e altre storie scritte da viaggiatori di ogni tempo

Virgilio Iandiorio, Teresa Zeppa

Libro: Libro in brossura

editore: ABE

anno edizione: 2021

pagine: 128

Il libro di Zeppa e Iandiorio è un continuo susseguirsi di storie, racconti, episodi, antichi e medievali. Risale alla notte dei tempi la storia di un albergo dove si riunivano i viandanti in cerca di storie sulle streghe. Un signore, che è vicino al nostro tavolo, guarda in modo strano la padrona, la moglie del proprietario dell'albergo (regina cauponae) e mi fa cenno di non parlare. La donna è una strega (ci dice a segni di labbra). Ponendo il dito indice sulla sua bocca e con aria stupita:" fate silenzio -soggiunge- non profferite parola. Dio ci guardi da una donna indovina. Fate attenzione a dire qualche parola che possa nuocervi…Questa strega -soggiunge- può far cadere il cielo, e sollevare la terra, far seccare le fontane, fare sciogliere come neve le montagne,far rivivere i morti, togliere forza agli Dei, spegnere le stelle e illuminare persino il Tartaro". Racconta poi delle storie di magia che ella avrebbe fatto: "Un suo amante che, con suo scorno, l'aveva piantata per correre dietro a un'altra, con una sola parola l'ha mutato in un castoro. Anche un oste suo vicino, e perciò suo rivale, lo ha trasformato in una rana, e ora il povero vecchio nuota in una botte di vino e, sepolto nella feccia, chiama raucamente con un gracidio, che vuole essere cortese, i suoi antichi avventori. Un altro - un avvocato - che aveva sparlato contro di lei, lo ha trasformato in montone, e ora quel montone tratta cause in tribunale"...
29,00

Baci, stupri e lestofanti: i crimini nel Seicento tradotti da Eliseo Danza

Baci, stupri e lestofanti: i crimini nel Seicento tradotti da Eliseo Danza

Virgilio Iandiorio

Libro: Libro in brossura

editore: ABE

anno edizione: 2021

pagine: 128

Ecco un secondo volume dedicato ad Eliseo Danza, il giurisperito di Montefusco. Sono nuovi episodi simpatici, grotteschi, a volte inattesi e spesso violenti, trattati con maestri da Danza e tradotti per noi dal preside Iandiorio, in linea con il percoso già avviato in collana. Nel 2016, infatti, venne pubblicato il "Crimine nel Seicento", un' intervista immaginaria al Danza sui reati più frequenti ai tempi suoi, cioè nel secolo decimosettimo. Nella sua opera De Pugna Doctorum, il primo volume edito a Trani nel 1633, il secondo a Montefusco nel 1636 e il terzo a Napoli nel 1642, con un'emissione successiva del 1648, egli espone molti casi di sentenze presso i tribunali del Regno di Napoli dopo disamina accurata della punibilità degli imputati secondo le leggi in vigore. I testi di natura giuridica, abbondanti nel XVII secolo, sono stati in genere trascurati dalla letteratura, forse perché ritenuti troppo tecnici e specifici in materia di legislazione civile e penale. A leggerli, però, si ritrova uno spaccato di vita vissuta, anche se porta alla luce quanto di più abbietto possa esserci nell'uomo. Omicidi, rapine, stupri, violenze inaudite di un uomo contro i suoi simili. Eliseo Danza era nato a Montefusco nel 1584, dove morì nel 1660. Nei suoi tre volumi De Pugna Doctorum descrisse una quantità notevole di casi giudiziari, molti dei quali discussi nella Regia Udienza della sua città, che era capoluogo del Principato Ultra fino al 1806, quando i Francesi venuti nel Regno di Napoli decisero di trasferire il capoluogo del Principato ad Avellino. Anche per questo secondo volume, l'esposizione dei fatti è lasciata alle parole del Danza. Poiché tutta l'opera è scritta da lui in latino, bisogna mettere in conto che la traduzione in italiano potrebbe generare qualche fraintendimento. Dobbiamo avere chiaro che trattiamo di fatti avvenuti quattro secoli fa; e in questo tempo molte cose sono cambiate, e la sensibilità nostra potrebbe reagire in maniera diversa rispetto agli episodi criminali del passato. Alcune controversie riportate in questo secondo volume riguardano, più propriamente, il diritto civile, come il problema di potersi fregiare del titolo di città da parte della Terra di Atripalda. E poi questioni attinenti al reato di offesa alla religione (blasfemia) e agli uomini (ingiuria). Il capitolo finale è sulla violenza fatte alle donne; il reato di stupro doveva essere molto frequente a quei tempi, se ad esso il Danza riserva particolare attenzione. La sensibilità nostra considera insopportabile e ingiustificata qualsiasi forma di violenza fatta alle donne. E questi reati non vanno mai prescritti nella nostra memoria.
29,00

Giulia principessa rapita. Novelle storiche di Jean de Prèchac sui salernitani

Giulia principessa rapita. Novelle storiche di Jean de Prèchac sui salernitani

Virgilio Iandiorio

Libro: Libro in brossura

editore: ABE

anno edizione: 2019

pagine: 144

Una novella storica con protagonisti il Principe di Salerno e sua sorella Giulia, fatti schiavi da corsari turchi. La storia ha inizio nel Regno di Napoli, ai tempi del Viceré Gaspare Mendez De Haro. Il principe, coinvolto nella guerra austro-turca, combattuta dal 1683 al 1699, finisce schiavo dei Turchi in Siria, come sua sorella. Più che la forza delle armi sarà quella dell'amore a dipanare la vicenda. E viene fuori un confronto serrato e leale tra le due culture, quella turca e quella occidentale, sul ruolo della donna, sulla virtù politica e sui valori umani. Il libro pubblicato più di tre secoli fa, offre spunti di riflessione su questioni che sono di attualità ai nostri giorni. La postfazione al libro è un corollario importante per comprendere le motivazioni storiche e stilistiche dell'autore francese, Jean de Préchac.
15,00

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