Donzelli: Saggi. Storia e scienze sociali
Sant'Anna di Stazzema. Memorie di guerra, culture di pace
Caterina Di Pasquale
Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2025
pagine: 224
La mattina del 12 agosto 1944, un battaglione delle SS, con il supporto di elementi repubblichini, accerchia il borgo di Sant’Anna di Stazzema e massacra gli abitanti, in una delle più atroci stragi nazifasciste compiute in Italia. La memoria di questo eccidio rappresenta, per il nostro paese, una vicenda emblematica. Il libro di Caterina Di Pasquale ne ripercorre in chiave antropologica le tappe fondamentali, a partire dal processo di rimozione strutturale che lo caratterizzò a lungo, agevolato dal ritardo dell’iter giudiziario, finché nel 1994 non vennero ritrovati 695 fascicoli sulla strage, «archiviati» a palazzo Cesi, sede degli Uffici della magistratura militare. In questa ricostruzione si intrecciano la dimensione privata e quella pubblica, le istanze nazionali e quelle locali, la storia ufficiale e quelle individuali. A prendere la parola sono le persone scampate allo sterminio, i loro familiari. Da quel 12 agosto chi è sopravvissuto non ha fatto altro che raccontare: parlando del proprio mondo distrutto ne ha celebrato il ricordo; evocando le vittime e pronunciandone i nomi le ha onorate e ha dato un senso alla vita di chi se ne è andato e di chi è rimasto. I più giovani hanno incorporato questa narrazione e l’hanno fatta propria integrandola, passando il testimone alle nuove generazioni. In questo percorso la memoria risulta attraversata da contrasti e contraddizioni, in un’ambivalenza tra dicibile e indicibile, tra pace e conflitto: tensioni vitali e da preservare, se si vuole evitare una memoria comunitaria edulcorata e normalizzata, priva del suo potere contrastivo e critico, di quella forza che permette di restare vigili sul presente e sul futuro.
La memoria dimezzata. I campi fascisti nelle testimonianze slovene
Marta Verginella, Oto Luthar, Urška Strle
Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2025
pagine: 320
Molti campi di internamento fascisti furono caratterizzati da condizioni brutali, paragonabili a quelle dei campi nazisti; non pochi erano riservati alla popolazione slovena. È questa una delle pagine più buie della politica coloniale e bellica del regime: una storia rimossa, trascurata anche dalla storiografia italiana, così come da quella slovena. Tra il luglio e il novembre del 1942 fu portata avanti una grande offensiva nei territori sloveni, prima con il massacro della popolazione civile e poi con la deportazione di circa 30000 persone. Intere famiglie furono imprigionate nei campi fascisti, dove vennero sottoposte a un trattamento durissimo. Per la maggior parte si trattava di sloveni ribelli, ma anche di amici e familiari – bambini compresi – dei partigiani: contro di loro l’azione degli italiani, che si prefiggevano di fascistizzare l’area occupata, fu crudele e sistematica. In ciò il regime proseguiva una strada già sperimentata nei campi di internamento africani, gravata tuttavia da un atteggiamento del tutto particolare – di affinità e insieme diffidenza, di superbia e insieme di timore – mostrato tradizionalmente nei confronti della popolazione slovena. Attraverso un accurato e minuzioso lavoro di storia orale, gli autori del volume danno voce a coloro che sulla propria pelle subirono la deportazione: sono loro – all’epoca per lo più bambini – a raccontare, portando alla luce vicende di sofferenza e di violenza, ma anche episodi di solidarietà. Intrecciando le testimonianze con la ricostruzione del contesto europeo, si compone il quadro storico generale e si indagano le ragioni per le quali questo trauma collettivo per troppo tempo ha faticato – e tuttora fatica – a emergere e a essere presente in tutta la sua complessità nella memoria comune slovena e in quella italiana.
Showar. La guerra in Ucraina come spettacolo
Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2025
pagine: 240
Cosa succede quando una guerra diventa pop? Quando le sue immagini e i suoi suoni ci immergono – seppure a distanza – nelle trincee e fra le rovine delle città, in una diretta social e televisiva continua? La guerra in Ucraina è – come tutte le guerre, ma forse più delle altre – una guerra di ideologie, narrazioni, immagini e specchi, tanto quanto una guerra di eserciti e milizie con cannoni, carri armati, lanciamissili. L’intreccio di modalità e immagini tradizionali con risorse iper-tecnologiche offre lo «spettacolo» di una guerra anomala, inedita – riconoscibile come una guerra, ma fruibile come un film di guerra. Alle dirette Instagram e TikTok di questo conflitto i media hanno aggiunto le loro dirette, in una ipertrofia mediale in cui molti confini sono definitivamente saltati. Questo volume propone una riflessione sul significato, o meglio sui significati, della rappresentazione mediatica del conflitto ucraino per chi lo osserva e lo vive a distanza, per chi assiste allo «show» della guerra, che va oltre l’ennesimo «spettacolo del dolore», definendo invece una condizione costante di immersione nel conflitto, con la diretta delle immagini e dei suoni che ci rende testimoni attivi e presenti degli eventi in corso: partecipi, a nostro modo, più che mai. Con un approccio che fa tesoro degli strumenti dell’analisi semiotica, dei visual studies, della teoria dei media e della sociologia, nei contributi che compongono il volume vengono analizzati alcuni «protagonisti» dello shoWar: dalla figura del presidente Zelensky al ruolo dello sport, dalla tutela del patrimonio artistico alla rimediazione delle immagini cinematografiche, fino al ruolo dei grandi palcoscenici musicali e alle molteplici immagini dei talk show italiani, che hanno ulteriormente confuso intrattenimento, propaganda e informazione, proponendoci un «sapere di guerra» con aggressioni e prime linee esasperate negli studi e nei salotti televisivi a imitazione della guerra stessa.
Criminalità in rete. Dalle piattaforme illegali alle cybermafie
Lorenzo Picarella
Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2025
pagine: 208
Nell’era digitale del web 4.0 e della platform society, il cyberspazio riveste un ruolo sempre più centrale non solo per l’organizzazione della socialità, della politica, del lavoro e delle imprese, ma anche della criminalità. Negli ultimi anni, infatti, inquirenti ed esperti di cybersicurezza rilevano sia una maggiore operatività di cybercriminali in gruppi strutturati che una crescente presenza delle mafie tradizionali online. Rispetto a queste nuove forme di delinquenza, si può quindi parlare di criminalità organizzata cibernetica? A tale interrogativo il volume prova a dare risposta analizzando sotto il profilo sia sociologico sia giuridico come cambia la criminalità organizzata in una società digitale. Lo studio poggia su un variegato materiale empirico composto da inchieste giudiziarie riguardanti comunità online di pedofili, criptomercati, reti di hacktivisti, gruppi dediti al phishing, organizzazioni che offrono streaming illegale, società dedite alla sottrazione e commercializzazione di informazioni riservate e clan mafiosi inseriti nel gioco d’azzardo. Il quadro che emerge risulta molto eterogeneo, rendendo complicato tenere all’interno di una cornice unitaria i diversi fenomeni considerati. A un estremo si colloca una inedita criminalità su piattaforma che opera interamente online e presenta caratteristiche peculiari, creando nuovi dilemmi interpretativi. All’estremo opposto, invece, si posizionano le mafie tradizionali che, sebbene di recente abbiano mostrato un maggiore interesse per i crimini cibernetici, rimangono ancorate al mondo fisico. L’analisi si sofferma in particolare sulle modalità operative e organizzative di queste forme di criminalità cibernetica e ha il merito, come rileva Rocco Sciarrone nella prefazione al volume, di aggiornare il dibattito che investe il concetto di criminalità organizzata alla luce delle caratteristiche della società digitale, evitando così una deriva diffusa nel dibattito pubblico, «quella che mette spesso in primo piano l’urgenza di sottolineare la pericolosità del fenomeno più che l’esigenza di conoscerlo».
Riforma agraria. Trasformazione economica e democrazia nelle campagne
Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2025
pagine: 288
In un celebre intervento alla Camera del giugno 1948, Paolo Bonomi così si rivolgeva ai colleghi: «Durante la battaglia elettorale la massa dei contadini ha dato la fiducia al Governo, ha accettato quella che è stata la parola d’ordine del Presidente il quale ha detto: “Costi quel che costi, bisogna vincere la battaglia della libertà”. Noi oggi affermiamo: costi quel che costi, bisogna fare la riforma agraria per andare incontro al popolo, per elevare all’ennesima potenza la paura degli agrari e per andare incontro alle speranze di un popolo lavoratore, speranze che nel più breve tempo possibile devono diventare certezza di prosperità di lavoro e di giustizia per tutti». La riforma fondiaria si farà e costituirà una delle pagine epiche della ricostruzione del sistema agricolo e alimentare, superando tensioni e lacerazioni sociali che agitavano il paese ancora agli inizi degli anni cinquanta. Realizzata attraverso l’esproprio di terre a carico dei proprietari di latifondi e l’assegnazione ai coltivatori diretti, l’opera riformatrice ha innovato, in modo radicale, la vita produttiva delle campagne, promuovendo progresso e giustizia alla luce degli emergenti valori costituzionali. La solida intelaiatura normativa ha superato tensioni inedite e, ancora oggi, è portatrice di un originale esperimento di democrazia economica. A concepirne i congegni tecnici e a incoraggiare la spinta politica per la effettiva attuazione sono stati uomini di ingegno e di fede, chiamati a guidare partiti di massa e organizzazioni sindacali, in un disegno di solidarietà e di uguaglianza: Alcide De Gasperi, Antonio Segni, Paolo Bonomi. E non si dubita che lo sviluppo conosciuto dalla piccola e media proprietà e il ruolo svolto dai coltivatori diretti nelle vicende successive all’affermarsi del progresso tecnologico e produttivo, con l’apertura del mercato europeo, siano l’immagine storicamente riflessa di quella reale e compiuta progettualità istituzionale.
Maccarese 1925-2025. Storia di una comunità, di un territorio, di un'impresa
Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2024
pagine: 256
Ha una storia centenaria l’azienda agricola Maccarese, situata all’interno di una riserva naturale sul litorale romano. Con la sua estensione di oltre tremila ettari, è una delle maggiori realtà agricole italiane. Integrando la prospettiva economica con quella storica e politica, il volume ne ricostruisce le vicende, nelle quali si rispecchiano le stagioni del cammino sociale e civile del nostro paese. A partire dall’impegno profuso dall’Italia liberale per la bonifica della campagna intorno alla nuova capitale del Regno, fino alle controversie del secondo dopoguerra, quando sarà centrale nella gestione dell’azienda il dibattito sulla possibilità e l’opportunità di perseguire finalità sociali. La storia della Società Maccarese è anche quella di un territorio desolato, in cui nasce e cresce una complessa attività economica e una comunità di migliaia di persone. Il processo di antropizzazione che si innesca, legato ai fenomeni migratori, influirà sull’identità stessa dell’azienda, diventata nel secondo dopoguerra un punto di riferimento per le battaglie sindacali, e non solo. Il rapporto tra intervento pubblico e iniziativa privata, quello tra capitalismo e benessere collettivo, tra interessi privati e sociali, così come la dialettica tra città e campagna, e quella tra sviluppo economico, tutela dell’ambiente e qualità della vita sono alcune delle questioni cruciali scaturite lungo il percorso secolare di questa realtà e che hanno animato – e animano tuttora – il dibattito nazionale attorno alle imprese e al loro rapporto con il territorio.
Il disordine delle famiglie. Potere, ordine pubblico e controllo sociale
Arlette Farge, Michel Foucault
Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2024
pagine: 320
Mariti violenti, mogli infedeli, figli dissipatori, apprendisti indisciplinati: sono i bersagli delle richieste di reclusione indirizzate al sovrano in Francia fino al XVIII secolo, a cui il re faceva seguire una 'lettre de cachet', un’ordinanza per imprigionare o esiliare i soggetti incriminati. La pratica delle 'lettres de cachet' fu poi abolita durante la Rivoluzione francese perché considerata simbolo dell’arbitrio del sovrano. I documenti che Michel Foucault e Arlette Farge scoprono negli Archivi della Bastiglia, qui raccolti in sezioni tematiche, raccontano tuttavia una storia diversa: là dove credevano di trovare l’implacabile collera del sovrano, il filosofo e la storica incontrano invece le passioni del basso popolo. Le 'lettres' si rivelano non lo strumento di un potere anonimo e oppressivo che si abbatte dall’alto sui sudditi, ma una pratica nelle mani del popolo, in grado di usare le tecnologie del potere per reprimere condotte che minano la tranquillità familiare e, di conseguenza, l’ordine sociale, innescando così un meccanismo in cui repressione privata e mantenimento dell’ordine pubblico si intrecciano efficacemente: un potere dunque ramificato, che circola a ogni livello della società. Pubblicati per la prima volta in italiano, questi documenti colpiscono per l’intensità dello stile, per una certa «bellezza patetica», come scrive Arlette Farge nella postfazione alla presente edizione: «Si trattava di persone, di corpi, di pensieri, di gridi messi a nudo, inviati “alla grandezza del sovrano”, nei quali degli “esseri miserabili” rappresentavano la propria vita davanti al potere». L’analisi di queste suppliche rappresenta una tappa importante nella costruzione foucaultiana della storia dei dispositivi di controllo, mostrando quanto le relazioni familiari siano a pieno titolo parte della «microfisica del potere».
L'alba dell'antimafia. Palermo, «L'Ora» e le prime inchieste sull'«onorata società»
Ciro Dovizio
Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2024
pagine: 288
«L’Ora», lo storico quotidiano della sera di Palermo, fondato a inizio Novecento dai Florio, visse per una ventina d’anni un periodo di straordinaria vitalità, sotto la direzione di Vittorio Nisticò (1954-75). Acquisito dal Pci per farne un quotidiano regionalista, di sinistra ma non di partito, in cui il dialogo fosse aperto e sgombro da dogmatismi, divenne con Nisticò un luogo di discussione autonomo e vivace, con una redazione culturalmente e politicamente composita. È sul racconto di questa fase – finora mai indagata in sede storiografica, e qui analizzata grazie a una ricca documentazione inedita – che si concentra il volume, e su un aspetto cruciale: quello delle battaglie intraprese dal giornale contro la mafia, che resero la testata nota in Italia e nel mondo. Non si può parlare ancora di «antimafia», ma del preludio di una nuova era, di un’«alba» dell’antimafia. Allora infatti cominciò ad affacciarsi l’idea di una possibile alleanza tra pezzi di istituzioni e di opinione pubblica, e proprio grazie alle iniziative del giornale: il suo sostegno alle indagini della Commissione antimafia e degli investigatori contribuì a preparare l’avvento di una cultura dell’antimafia, segnando un punto di svolta fondamentale. La storia dell’«Ora» non può tuttavia essere ridotta al suo discorso su e contro la mafia. Il giornale, specie durante l’«era Nisticò», va ricordato per la qualità dei contributi (inchieste, commenti, tavole rotonde, interviste, documenti); per il livello dei cronisti e degli intellettuali ingaggiati; per il grande impegno investigativo (condotto sul campo consultando testimoni, forze dell’ordine e magistrati, politici, informatori e documenti di ogni genere); per il tesoro umano e professionale consegnato alla stampa (si formarono in questa fase futuri esponenti di punta di grandi giornali). Quella dell’«Ora» fu insomma una vera e propria epopea nella storia del giornalismo italiano, e non solo. Prefazione di Salvatore Lupo.
Un eroe senza medaglie. Luigi Capriolo dall'antifascismo alla Resistenza
Aldo Agosti, Marina Cassi
Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2024
pagine: 240
Villafranca d’Asti, agosto 1944. Luigi Capriolo, comunista e capo partigiano, viene impiccato dai tedeschi dopo essere stato a lungo torturato. Ha quarantadue anni, dodici dei quali trascorsi fra il carcere e il confino per la sua lotta antifascista. Per le circostanze della sua morte e per le vicende che la precedono, Luigi Capriolo può essere definito un autentico eroe della Resistenza, anche se un eroe senza medaglie, perché una medaglia non la riceverà mai. Eppure pochi come lui ne avrebbero avuto titolo. Ciò che più colpisce nella sua biografia è la continuità tra l’impegno nella lotta antifascista – nella legalità e semilegalità, nella clandestinità, perfino nelle forme praticabili in carcere – e la partecipazione diretta alla Resistenza, fino all’estremo sacrificio. Capriolo è un comunista convinto e totalmente dedito alla causa, ma non è un settario: il suo è il volto di un comunismo non arcigno, affascinante nel suo rigore morale, in particolare per gli intellettuali che avvicina – da Antonio Giolitti a Ludovico Geymonat, da Ada Gobetti a Norberto Bobbio – e sui quali lascia un’impressione profonda. Alla sua vita pubblica si accompagna una tormentata vicenda privata: Livia, suo unico amore, è manovrata – forse inconsapevolmente – dalla polizia politica fascista, e dopo la Liberazione si scoprirà essere stata una delatrice dell’OVRA. La storia umana e politica di Luigi Capriolo, accuratamente ricostruita da Aldo Agosti e Marina Cassi nel saggio introduttivo, rivive nel racconto diretto dello stesso Capriolo attraverso il diario tenuto dal 26 luglio al 16 ottobre del 1943, quando viene arrestato una prima volta dai tedeschi, e la relazione al Partito comunista in cui descrive le inumane torture subite in carcere e, quasi per istruire i compagni che subiranno la stessa sorte, la sua lucida strategia di resistenza.
Altre modernità. Salvatore Lupo e la storia dell'Italia contemporanea
Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2024
pagine: 288
Salvatore Lupo è uno degli storici contemporaneisti italiani più brillanti. Con un particolare occhio alla Sicilia e al Mezzogiorno, si è occupato del processo di unificazione nazionale, del periodo liberale, del fascismo e degli anni repubblicani sino a oggi. Sempre attento alle dinamiche sociali ed economiche, oltre che a quelle politiche, ha svolto studi pionieristici sulla mafia, rifiutando di considerarla l’oggetto di una disciplina a sé, e quindi analizzandola con gli strumenti propri della storiografia. Dall’ampio ventaglio di interessi che ha caratterizzato la sua ricerca si sono sviluppate nuove e originali prospettive. Ed è a questa scelta – di leggere sempre nei termini della varietà e della complessità le trasformazioni che hanno caratterizzato la storia del Mezzogiorno contemporaneo e, a partire da essa, quella d’Italia – che fa riferimento il titolo del volume dedicatogli. I saggi di allievi, amici e colleghi, qui raccolti in occasione del suo pensionamento dopo il ventennale insegnamento presso l’Università di Palermo, si confrontano con questi grandi temi. Ci raccontano anche di alcuni dei passaggi più significativi dell’esperienza scientifica dello storico siciliano, come la formazione presso l’Università di Catania e la successiva partecipazione a una delle più innovative proposte storiografiche degli ultimi decenni, quella che ha fatto riferimento all’Istituto meridionale di storia e scienze sociali e alla rivista «Meridiana». Ne è derivato un quadro ricco, suggestivo e aggiornato, che copre l’intero arco cronologico della storia contemporanea.
Vittime e carnefici. Le stragi nazifasciste lungo la Linea Gotica orientale
Daniele Susini
Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2024
pagine: 256
L’8 settembre 1943 la firma dell’armistizio dell’Italia con le truppe alleate segna la fine della scellerata fratellanza con la Germania e l’inizio dell’occupazione da parte dei nazisti, caratterizzata da una lunga scia di stragi che insanguinarono il territorio italiano, da Sud a Nord, fino alla Liberazione, nell’aprile del 1945. Una violenza, esacerbata dal sentimento di tradimento dell’ex alleato tedesco nei confronti del governo e all’esercito italiani, che si abbatté sulle formazioni partigiane e non risparmiò la popolazione inerme. Il 1944 fu l’annus horribilis per l’Italia, quello in cui le violenze commesse dai reparti tedeschi, spesso in collaborazione con i fascisti della Repubblica sociale italiana, raggiunsero l’apice, facendo registrare il più alto numero di vittime civili. A ottant’anni da quegli eventi, Daniele Susini ricostruisce una mappatura delle stragi perpetrate dai nazifascisti nella provincia di Rimini, che rappresenta un caso di studio unico per illustrare la strategia dei nazifascisti in due contesti di guerra diversi: il primo legato alla repressione antipartigiana, il secondo all’occupazione del territorio per la costruzione della Linea Gotica e il successivo passaggio del fronte con la furiosa battaglia per la presa di Rimini. L’analisi dei singoli episodi di strage, classificati in schede dettagliate, consente di sottrarre all’oblio le vittime, che raramente hanno trovato giustizia, e i carnefici, che quasi mai sono stati puniti per i crimini commessi. Emerge così la presenza di un sistema di ordini che legittimava la violenza sui civili, l’esistenza di una vera e propria strategia stragista che si basava su un’ideologia espansionistica di stampo razziale, quella nazifascista, e sull’obiettivo dichiarato di distruggere il tessuto sociale da cui nasceva la Resistenza partigiana.
Il risveglio del drago. Cavallerizzo: un paese mondo, tra abbandono e ricostruzione
Vito Teti
Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2024
pagine: 304
Nella notte tra il 6 e il 7 marzo del 2005, dopo settimane di pioggia insistente, il terreno franoso – «il drago» – su cui poggia Cavallerizzo, un paese arbëresh in provincia di Cosenza, si scuote: la popolazione fugge e si mette in salvo, ma il rientro nelle case, seppure solo in minima parte distrutte, non avverrà mai. Per vent’anni Vito Teti seguirà con attenzione e partecipazione le vicende di una comunità «spaesata» e sofferente, ma al tempo stesso tenace e speranzosa, che nelle pagine del volume prende la parola e si racconta. I protagonisti di questa storia dedicano tempo ed energie per resistere, per non disperdersi, per non smarrire la presenza, per cercare un nuovo «appaesamento», per restare in loco o trasferirsi e ricostruire in una zona vicina. Fanno incontri, riunioni, discutono per mesi, per anni, per provare a uscirne con meno danni possibili, anche a costo di compromessi con i propri desideri e le proprie volontà. «Che senso posso dare alla storia di una piccola comunità che frana e si dissolve, e che dà origine a dispersioni, esilî, dolori, fratture, dissidî, forme di resistenza?», si chiede Teti. In un mondo in cui la fine e la crisi climatica incombono, le vicende di 300 abitanti ci raccontano quelle di 8 miliardi di persone. A Cavallerizzo tutti sapevano che era necessario controllare e incanalare le acque che alimentavano la frana, ma l’incuria e le inadempienze delle istituzioni hanno «risvegliato il drago». Cavallerizzo non è solo il simbolo dell’instabilità di un’intera regione e di tutto un Paese, di una terra segnata dalla precarietà, dai continui abbandoni e dagli interventi emergenziali e mai risolutivi: Cavallerizzo, piccolo paese che muore, luogo periferico e marginale, è il mondo. Ci parla dell’Antropocene, dello spopolamento, della possibile fine di luoghi, ci insegna qualcosa su come affrontare il rischio, anche sul piano emotivo, cognitivo, pratico, della «morte» del nostro mondo. Quanto accade in un piccolo sconosciuto paese ha rilevanza per tutti noi.

