ABE: Donne reali e uomini d'arme
Orbassano e i Savoia. Ovvero Orbazan degli Orsini sulla via dei mulini di Torino
Sabato Cuttrera
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2024
pagine: 120
La casa di Savoia è una delle antichissime del Mondo, per esser venuta senza alcuna interruttione da quel gran Re di Sassonia Siguardo quale descende dall'altri Re suoi predecessori, sin dall'anno del diluvio 300... comincia così la copia inedita del manoscritto intercettato da Cuttrera e pubblicato per la prima volta nella storia di Orbassano. Il lettore vede così scorrere sotto i propri occhi tutti i Savoia, da conti a duca, una dopo l'altro, in perfetto volgare del cinquecento e del seicento, anno della sua redazione. E poi le notizie sui Savoia che si interfacciano con quelle del feudo di Orbassano, da essi più volte preferito a Rivalta e ad altri castelli. Cuttera fa una ricostruzione senza fronzoli, come nello stile da cronisti medievali, riportando nudi e crudi brani di storici pescati, ritrovati e trascritti senza manomissioni e senza commenti, dando vita a questo interessante e unico viaggio nella città delle acque. Ed ecco che il Manoscritto ritrovato, l'inedito sulla Casa Savoia, appare come parte integrante di un territorio da sempre appartenuto ai Savoia, come risulta dalle sue origini, almeno dopo le notizie sul periodo romano e normanno. Ma Orbancianum o Loco Orbaciano ha una storia intensa, quella che parte di sicuro dal 1035, quando 1/2 feudo era di S.Giovanni di Torino e 1/2 del suo Vescovo. Il periodo dei marchionati italici, si innesta così nel breve regno d'Italia di Re Corrado che dal 1096 al 1111 fece guerra al padre imperatore per volere del papa, facendo arrivare i suoi Marchesi fino a Gravina (Ba), dove si intreccia la storia dei feudatari di Orbassano con quelli pugliesi della Casata degli Orsini. Ma questo libro è soprattutto fatti, quelli degli Abati a Gonzole, come dei Conti Orsini a Rivalta, veri padroni di questi paesi autonomi con diverse leggi fra loro, proprio come accadeva nelle Terre dei Lombardi riconquistate a Sud dall'Imperatore e poi liberate ora dai Normanni ora dai Greci. Con Carlo III di Savoia a Orbassano, invece, di Orsini non se ne partò più, anzi, l'investitura fu tutta di Risbaldo nel Trecento, nei due borghi riacquisiti dal Conte di Savoia, fra il Castello e Trana, concessi ai Risbaldo, ormai che il Duca Carlo è divenuto cognato di Carlo V Imperatore e ha approvato le prime leggi, gli statuti nella città delle acque, poi rinnovati nel 1700. Il libro è un susseguirsi di fatti, da Carlo Orsini, il Conte di Orbassano ai canali costruiti dai Pallavicino, i Marchesi Palavicini di Stupiniggi, quando Orbaciano è capo delle acque per secoli e si ha il distacco finale dai francesi, con la Battaglia di Marsaglia sulla via del paese, e rinasce il borgo incendiato dal nemico. Siamo ormai all'età moderna, fra auto e aerei, quando l'autore termina il suo libro, affidandosi alle figure storiche del paese de Novecento, fra l'aeronautica e l'indotto Fiat, lasciando parlare Padre Pietro e Moris, gli uomini illustri di Orbassano, quella orginata da uno dei tre marchesati storici della Valle dei Mulini di Torino.
Margherita d'Austria, la duchessa pupilla: nozze a Napoli per Alessandro «il moro» duca di Firenze
Sabato Cuttrera
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2024
pagine: 144
Nata il 5 luglio 1522 e riconosciuta una rendita a Jenne, ragazza madre, la piccola Margherita passò nelle mani dei genitori adottivi di Bruxelles. Svezzata e cresciuta dalla zia Maria d'Ungheria, imparò a leggere e a scrivere, e presto a parlare fluente almeno quattro lingue. Persa l'occasione per Ercole d'Este, Margherita, fu maritata al Duca di Firenze, tanto per ricucire i rapporti fra Papa e Imperatore, dopo il sacco di Roma. Vennero così sanciti i capitoli matrimoniali in cui si stabiliva l'educazione della pupilla alla corte di Napoli fino all'età giusta per il matrimonio, quando sarebbe stata tradotta a Firenze, a spese del marito, dopo la cerimonia dell'anello al dito da tenersi nel Regno. E così la piccola, conobbe per la prima volta il padre e lo sposo nel 1531, prima di partire per Napoli con uno stuolo di dame, musici e prelati al seguito. Sfidando pioggia e neve sostò quindi a Cafaggiola, dove Caterina de' Medici le mostrò il Firenze e incontrò il marito. Il fuoco delle bombarde all'Annunziata aprì i dieci giorni di festeggiamenti, con spettacoli e recite, dalle corride alle partite di calcio, ai balli e alle cene conviviali. Giunta a Roma, ripartì finalmente per Napoli, dove restò tre lunghi anni per imparare il galateo di corte, studiare e crescere con altri piccoli nobili a palazzo reale. Qui fu seguita dalla Viceregina, che ne divenne balia e tutrice, ricevendo a corte amici, parenti e lo stesso sposo, con i suoi sfarzosi regali. Alessandro giunse nel Regno più di una volta, fra un riassetto e l'altro della città, sempre scossa dagli avversari politici, puntualmente puniti e banditi come nemici. Alessandro era un tipo libertino, di quei principi che si ripromettono di cambiare vita, ma nel mentre corteggiano di continuo le belle donne e non mancano di avere amicizie strette, proprio come le sue. I cugini Lorenzo e Cosimo sono per lui come il diavolo e l'acqua santa, ma rappresentano un legame stretto col sangue, come egli stesso l'ebbe col Papa quando era ragazzo, crescendo alla corte di Roma. Filtri d'amore e veri avvelenamenti dei nemici, quando non sfuggono ai suoi disegni criminali, conducono così il Signore dell'ex Repubblica Fiorentina a una vita di sfarzo e di ostentazione. Né manca di maritare la sorella Caterina al futuro Re di Francia, onorando sempre le pretese dello zio Papa, e accrescendo la lista dei nemici politici, come il generale Strozzi. L'obiettivo del Duca restò però quello di sistemarsi con la pupilla e in virtù del contratto sottoscritto seguì l'Imperatore-suocero a Napoli, appena di ritorno dalla spedizione di Tunisi. Ma l'uno fu accolto con l'arco trionfale, e l'altro con cartelloni e sberleffi dei concittadini avversari giunti in trasferta. A Napoli furono invitati anche i fuorusciti, nella speranza di raggiungere un accordo che non venne, a cui Carlo V rispose ufficializzando la cerimonia di nozze di Alessandro e Margherita, e liberandosi definitivamente delle infinite lagne degli esuli che chiedevano l'impossibile ripristino della Repubblica e, a tratti, la testa del loro Signore. Il 29 febbraio del 1536, finalmente, lo sposo donò l'anello nuziale alla giovane moglie. I Cardinali e lo stuolo di Fiorentini al seguito di Alessandro avevano avuto la meglio sui fuorusciti, scambiando l'agognata amnistia per le nozze di Margherita, e la meglio sugli stessi napoletani, costretti a sottostare alle angherie del Viceré Toledo. Al Duca non restava che andare a Roma, ringraziare il Papa, e ripartire per Firenze. E così, fra un bacio dato dal Duca al Vasari, e uno ricevuto dal suo Cosimo, l'investitura della città agli sposi si completò con una inaspettata eclissi, presagio della vita libertina di Alessandro che lo porterà lontano dalla moglie e dagli amici, come il Vettori, inseguendo le storie da letto e la cattiva compagnia del cugino Lorenzaccio.
Il femminicidio di Maria d'Avalos: la principessa di Venosa che non vide Montesarchio
Arturo Bascetta
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2024
pagine: 136
Il pluriomocidio «maschilista» nelle cronache del Rinascimento. La collana sulle «Donne Reali» del Rinascimento si arricchisce con la ricostruzione del femminicidio di Maria D'Avalos, la più bella donna di Napoli. È l'epilogo del giallo che turbò l'Italia, nell'epoca dei delitti d'onore, dove s'allungano le liste delle amanti uccise ora con l'acqua di rosa, ora dritto al petto. L'arma utilizzata, sia essa un fioretto, un pugnale o un archibugio poco conta, perché quel che è necessario è lavare l'onta delle corna, come nel caso di Carlo Gesualdo, assassino conclamato, reo confesso al pari dei suoi servi, ma da tutti assolto. Eppure questo principino di Venosa, di soli 24 enne, premeditò il femminicidio della giovane moglie in ogni particolare, dalle porte chiuse a chiave per intrappolare gli amanti, ai corpi dilaniati da mostrare in pubblico. Certo è che la via sulla «misera morte» degli amanti D'Avalos-Carafa viene spianata da una miriade di indizi sulla bellissima Principessina di Venosa, corteggiata perfino da Giulio Gesualdo, zio acquisito e padrone di una miriade di feudi, da Gesualdo a Calitri, poi ereditati dal musico-assassino alla sua morte. Carlo infatti non possedeva che poco, essendo il genitore ancora padrone del Principato di Venosa. E fu proprio lo zio spione, amante solitario della bella moglie del nipotino, a spianargli la via della vendetta, confidando al consanguineo il posto di Chiaia dove gli amanti copulavano. Carlo appare smarrito, benché spesso a riposo nel suo stesso palazzo, dove il corpo della moglie veniva di nascosto posseduto dal Duca d'Andria. Almeno fino a quando ebbe predisposta l'imboscata, in accordo con altri cavalieri e parenti, pronto a profanare la reputazione della nobile famiglia legata al Vaticano, e non solo per la figura dello zio del Cardinale Alfonso, finito anch'egli additato per istigazione alla tragedia. La casata, l'amore focoso, le feste a Palazzo d'Andria e le serenate di Fabrizio sotto casa mentre Carlo dorme, fanno delle cronache e degli atti ufficiali dell'istruttoria, riportati in questo testo, una ricerca degna di tal nome che annulla l'amicizia fra le famiglie e punta sulla crudeltà della vendetta di un giovane che trascorreva le sue serate col prete musicista e la sua corte di armigeri, erari e servitori, pronti ora a battergli le mani per un madrigale, ora a uccidere al suo fianco. Le serrature bloccate, la scusa di andare a caccia, l'amante a letto in camicia da donna, e le grida del padrone di casa sulle corna in Casa Gesualdo prima di compiere il vile atto: gli elementi di un femminicidio efferato che si trasforma in giallo napoletano ci sono tutti e offrono al lettore l'ora della fine: le pugnalate di propria mano di quello che non solo fu il vile mandante del duplice assassinio, ma ne divenne l'esecutore materiale, per la necessità di accanirsi sui corpi senza vita. Gli atti della «Informazione» tratti dalla Vicaria, il processo scritto sulla scena del crimine, i testimoni, i tre esecutori materiali, e l'assoluzione finale di tutti, col placet del Viceré, riassumono questa storia nel dolore di una madre, costretta a spegnere la sua gioia davanti alle atrocità commesse dal nipote assassino della fanciulla più bella di Napoli. Quello di Maria D'Avalos fu un femminicidio in piena regola che Carlo Gesualdo avrebbe dovuto pagare con la massima pena di pluriassassino.
Gonzalo Fernández de Córdoba: il gran capitano, con atti notarili inediti sul prorex de Napoles
Arturo Bascetta
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2023
pagine: 144
Consalvo de Cordova fece il suo ingresso nel Regno in maniera esemplare, impossessandosi direttamente, durante la marcia, di molte Terre, senza fare nemmeno rumore. Inizialmente strappò tutti i territori possibili ai Francesi, lasciando credere agli Aragonesi di Napoli di stare al loro fianco, ma nel nome di Ferdinando il Cattolico, estromettendo di fatto Re Federico. Il suo titolo di prorex gli permise di liberare e di appropriarsi delle Terre e delle Università comunali, senza neppure conquistarle. Bastava dimostrare sulla carta che gli Spagnoli erano lì per proteggerle dai Francesi, ottenendone in cambio la sottomissione, in forma privata o riconosciuta che fosse, almeno fino a quando lo avesse voluto la Regina Isabella di Castiglia. Il futuro del Regno fu quindi nelle mani del Gran Capitano di Spagna, il quale, in via ufficiosa, già tramava per il passaggio del titolo da Ferrandino al fratello del padre (s'era sparsa la voce che Alfonso II fosse già gravemente ammalato), cioè allo zio Federico IV d'Aragona (1452-1504), in quanto meno si intendeva di cospirazioni e risultava molto più malleabile. Mai turbato dalla luogotenenza regia, in realtà nelle mani della sirocchia Giovanna III, sorella di Ferdinando il Cattolico, e mai interessato alla carica di primo Viceré, Consalvo finì col perdere il senso della misura, immaginando di essere egli stesso il Re. Le sue conquiste, i suoi discorsi al parlamento, l'eccessiva napoletanità e soprattutto l'appropriazione di infiniti beni, convincono il sovrano a sopprimere il suo incarico per instituire il viceregno e degradare Napoli dal titolo di Capitale. La sua amata Regina era ormai passata all'altro mondo quando il sovrano si risposò con l'erede francese del mezzo regno siciliano, riunificando il Sud senza più la necessità di un generale. Da qui l'esilio in Spagna, ma senza perdere la grinta, che lo porterà a voltare le spalle al sovrano, per sostenere le idee degli eredi aragonesi esiliati a Valenza e della figlia Giovanna la Pazza, vera erede dei castelli di Castiglia, segregata dal padre. Troppo tardi.
La vicaria di papa orsini: viaggio a Pietrastornina, residenza estiva degli arcivescovi di Benevento
Arturo Bascetta
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2023
pagine: 234
Pietrastornina compare nei primi anni sinodali, cioè nel II sinodo, come luogo dove gli atti riferiti al clero vengono essi stessi trascritti, relativamente alla pubblicazione dell'editto «De Immunitate Ecclesiarum», Contro à quelli, che direttamente, ò indirettamente impediscono, che si faccia ricorso all'Arcivescovo, ò che molestano quei, che l'hanno fatto,e non lo rivocano: e contro à quelli, che similmente impediscono i tonsurandi, ò molestano i parenti de' tonsurati. Dall'editto con cui si prescrivono titoli de' canonici, abati, arcipreti, parrochi, vicari curati, ed altri ecclesiastici della città e diocesi, Orsini cita, fra i signori reverendi, il rettore curato di San Bartolomeo. Il paese compare nel Catalogo delle terre diocesane in cui si sono terminati gli inventari e formate le piante degli stabili spettanti alle chiese ed altri luoghi pii, fra i primi alla trascrizione nell'anno 1707 (n.62 in ordine alfabetico). Quindi in tale anno già traspare una particolare attenzione verso Pietrastornina. «La medesima scomunica fulminiano contro à quelli, che direttamente, ò indirettamente impediscono, ò sanni impedire in qualsivoglia modo, ò pretesto gli scolari, che vogliono esser tonsurati, con proibire à gl'Uffiziali laici di non dare le fedi di non essere coloro inquisiti, ò qualsivolgia altra attestazion di memoriali, ò con altre suppliche, così inscritto, come con parole; ò che trapazzano, ed affliggono i congiunti dell'ordinato: siccome è decretato nel nostro primo Sinodo cap.6 num.3 in cui è fulminata la scomunica di lata sentenza, anche contra quelli, che tali suppluche porgono, ò tali licenze dimandan, l'assoluzione della quale à Noi riserbiamo». Questo il passo: «Vogliamo ancora, che da tutti i Parrochi in ogni festa di prima classe, ed in ogni prima Domenica del mese inter missarum solemnia si pubblichi sotto pena della sospensione à Noi riservata. Dato nella Pietra Sturnina della nostra Diocesi à 21 di settembre 1686 e di nuovo confermato nel consesso sinodale, canonicamente ragunato à 24 d'agosto 1687. La firma è quella di fra' Vincenzo Maria Card. Arciv., come attesta il segretario del sinodo, P.Abate Sarnelli Uditore e arciprete diocesano, il molto reverendo signore, «arciprete di S.Maria de Juso», attestato il 24 agosto 1695, carica che soppresse l'ex titolo di abate, eletto dalla collegiata...
Camiola madama di Siena: la figlia del mercante che gabbò il cavaliere errante. Camilla Turinga e Orlando d'Aragona Principe di Sicilia
Arturo Bascetta
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2023
pagine: 144
Federico III di Trinacria, figlio della Regina di Sicilia Costanza di Svevia, divenne, alla morte del padre Re Pietro, l'unico signore dell'isola, in contrasto con gli Angioini di Napoli, titolari del reame dato in feudo dalla Chiesa. Cognato di Re Roberto d'Angiò, e zio di Carlo di Calabria, non si trattenne dalla guerra che scaturì fra eredi di diversa stirpe, benché le Regine trattassero la tregua. Qui entra in scena il bel Rolando, ovvero Orlando, fratellastro del successore Re Pietro II, ma figliastro senza eredità, allorquando si schierò contro la sovrana matrigna, creando non poche scaramucce in Sicilia, mentre a Napoli favoleggiava la corte d'amore, alimentata dagli ambasciatori fiorentini. Fra i ricchi mercanti toscani primeggiavano i Turinga, frequentatori dei due reami, allorquando Sicilia e Lucca, di partito ghibellino, vollero lo scontro con Napoli e Firenze, sempre più al servizio del papa. I Turinga, tedeschi di Prato, come pure i Bonfiglio, scelsero di stare dalla propria parte, proprio mentre l'eredità familiare fu acquisita dalla bella senese di nome Camilla, da tutti conosciuta come Camiola, che avocò a sé anche le ricchezze di un presunto marito. Fu a quei tempi, quelli in cui ella frequentava la Sicilia per traffici commerciali del padre e del defunto, che la giovane vedova seppe dell'Orlando battuto negli scontri alle Eolie. La flotta di Napoli aveva invaso le coste e preparava la vera guerra con i Siciliani. Rolando, al comando dell'armata isolana, sconfitto nella Battaglia di Lipari, e rimasto prigioniero a Napoli senza che alcun parente l'avesse riscattato, procurò gran tristezza a Camiola, la quale, manifestò palese i propri desideri amorosi, proponendo un contratto matrimoniale in cambio del pagamento del riscatto. Così, mentre il Papa s'inventava i rettori Angioini, a dispetto dei Siciliani, che rifiutavano la Chiesa nel nome dell'indipendenza catalana e del sangue svevo, Napoli liberava l'amato prigioniero, favorevole allo scambio, rimasto fiducioso in gattabuia fino all'arrivo dei soldi. Camiola, che aveva impegnato una fortuna per vederlo libero, se ne fuggì da Siena per Messina, agognando le braccia dell'adorato sposo, marito per procura, il quale, prima del ti amo, era stato chiaro: «Ti sposo se mi paghi la libertà»! Una volta tornato a corte, però, senza più catene ai polsi, il bel cavaliere, cortigiano e blasonato, figlio di Re e con nelle vene il mezzo sangue di Costanza di Svevia, rifiutò le insistenze di Camiola. Alla dama, disperata per l'abbandono, non restò che impugnare il contratto sottoscritto e costringere il marito a quelle nozze forzate, ormai solo per umiliarlo e lavare l'onore davanti al tribunale e a tutta la città. Rimasto senza eredità, essendo fratellastro del vero sovrano di Sicilia, Rolando tornò in sé e chiese scusa, ma fu costretto a subire l'umiliazione del dietrofront di Camiola, almeno secondo il profilo tracciato da Boccaccio. Non gli restò che sposare un'altra donna, dalla quale ebbe quattro figli, guadagnando sul campo le future medaglie e l'ascesa a Governatore di Siracusa per conto del nuovo Re Ludovico. Camiola, ritiratasi fra le mura del monastero di Messina, ritrovò altra fortuna. E di lei non si seppe più nulla.
Il principe impotente: Alfonso III d'Aragona di Salerno e di Bisceglie
Arturo Bascetta
Libro
editore: ABE
anno edizione: 2022
pagine: 144
L'unico barone che continuava ad arricchirsi era il Gran Capitano Consalvo Cordova, il quale, il 10 maggio 1498, riceveva in via ufficiale all'insaputa di Re Federico i feudi confiscati da Carlo e Salvatore di Sangro ad Antonello di Santoseverino e a Loysio di Gesualdo deviantes a fidelitate nostra et contra nos et statum nostrum cum Gallis invasoribus huius regni et publicis hostibus nostris consilia et arma sua jungentes publica et notoria rebellione. L'accusa al Principe e al Gesualdo era chiara, essendo venuti meno alla fedeltà dovuta, avendo unito spesso le proprie armi a quelle dei Francesi, già invasori del Regno, nonché a quelle di nemici dichiarati. Dal canto suo, Cordova, non solo incamerò i loro beni, ma cominciò ad affidare direttamente agli uomini delle sue truppe spagnole alcuni feudi strategici, come nel caso di Gesualdo e Frigento, dati ad Ugo di Giliberto.28 Il 1498 fu un anno infausto.29 Da Roma giungeva notizia che Papa Alessandro VI Borgia cominciasse a turbare i cardinali che lo contrariavano e le famiglie avversarie, come quella degli Orsini.30 Il Papa "era contento de questa perturbatione per dar stato a' soi figlioli, et che Collonesi haveano abuto la Torre Santo Mathio, et che Paulo Orsini non era gionto a hora di socorer dicto locho, che inimici introe dentro e have la Terra". Inoltre, siccome il "Cardinal Ascanio era pur amalato di mal franzoso, et che 'l pontifice, havendo inteso di la trieva fata tra Spagna e Franza, mostrava dolersi; ma si confortava che era li do mesi di contrabando. Pur pareva fusse quasi rotta la sanctissima et serenissima Liga; et altro si have quid fiendum".31 La scelta di Alessandro VI, però, stette per ricadere sulla figliola Lucrezia Borgia, che la l'amante aveva partorito a Subiaco, il 18 aprile 1480. Ormai aveva 18 anni e, sebbene fosse sua figlia illegittima e terzogenita, avuta da Vannozza Cattanei, fu pronta a divenire una delle figure femminili più controverse del Rinascimento. Del resto, fin dagli undici anni fu soggetta alle politiche matrimoniali del padre e del fratello Cesare Borgia. Già quando il Papa ascese al soglio pontificio l'aveva data in sposa a Giovanni Sforza, per pochi anni, in seguito all'annullamento del matrimonio. Da qui l'idea che Lucrezia potesse essere un'ottima arma per ammaliare il Re di Napoli, Alfonso II, facendogli sposare il figliastro Alfonso d'Aragona, figlio illegittimo di Alfonso II di Napoli, poi tradito e ucciso dal fratellastro della moglie, essendo la famiglia passata col nemico francese.
La principessa di Altamura. Isabella del Balzo regina vicaria di Puglia
Arturo Bascetta
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2022
pagine: 212
Isabella, superata la fase critica, fu battezzata. Pirro e Maria, nutrendo infinita devozione per il vedovo Re Ferrante e per la defunta sovrana Isabelle de' Clermont, zia di entrambi, le misero quindi nome Isabella. Al dolore e alla preoccupazione per una insperata salvezza in seguito alla morte dei fratellini, si aggiunse il problema dell'allattamento, avendo l'infantina una bocca così piccola che fu difficile trovare una nutrice col petto adatto. Il principe Pirro fece quindi ricercare una balia in tutto lo suo stato, e non se ne trovò nessuna dentro Altamura. Per cercar donna aver piccol pupegno, ch'avesse questa figlia ben lattato, per aver piccol popigno ne la ziza. Le ricerche, dettate dalla fretta, furono estenuanti, ma alla fine si trovò una baila e nutriza col capezzolo piccolo, sebbene de omne vitegno, in quanto poi si scoprì essere un'ubriacona col cervello innaffiato dal succo di ogni vigna, perché el più del tempo stava, questa, imbriaca e non sapea quel che se facea; e molte volte sopra de la naca con greve sonno spisso se adormea. Una brutta abitudine che fece patire non poco la piccola, spesso rimasta senza pappa. Oltre ad addormentarsi sulla culla, si racconta di quando aveva 22 giorni e un celeste tron cascò con fiamme accese. Il fulmine che ne seguì cadde sul castello di Minervino, rovinando la stanza dov'era la nutrice con la piccola. Tutte le donne fuggirono via per la paura. Isabella riuscì a salvarsi solo perché stava in cima, nel punto alto del palazzo. Passarono i primi mesi e la fanciullina, bella e buona, crebbe nel Palazzo di Altamura invidiata dalle due sorelle di poco più grandi, Isotta e Antonia, sempre pronta ad insidiarla, chi pugno le dava e chi buffetto, accusandola di essere il frutto di qualche perfidia. Ma lei evitò scontri e beffe, senza mai vendicarsi e perciò divenne amata da chiunque incontrasse durante le passeggiate, fra chi le dava e chi le prometteva, specie quando, con i suoi graziosi costumi e per il suo aspetto, incantava tutti quelli di Altamura, dove il padre si trasferì, essendo stato fatto Principe di quel castello. E poiché i complimenti erano solo per lei, la madre era costretta a sgridare continuamente le sorelle maggiori. Ma proprio le tante pene patite erano da considerarsi il segnale di un ricco futuro. Così la madre Maria: - Ognuna de voi bene m'ascolte: ché questa haverà ad essere Regina; e sia da voi in reverencia adorata, ché chi se umilia è sempre più exaltata. Isabella venne su come una rosa, ogni giorno più bella, da far invidia a tutte le più belle ragazze di Altamura. Non arrivò all'adolescenza che già i nobili ne chiedevano la mano. Ma venivano da fuori, oltreconfine, e già si parlava di principi giunti apposta da Napoli solo per vederla...
San Luigi D'Angiò. Ludovico Di Nocera principe e santo
Sabato Cuttrera
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2022
pagine: 134
La sua nuova vita cominciò alla morte del fratello Carlomartello, Re titolare d'Ungheria, avvenuta a Napoli, il 12 agosto 1295, allorquando, da secondogenito, divenne erede universale di quattro regni. Essi erano: 1. Napoli; 2. Gerusalemme; 3. Ungheria; 4. Sicilia. Quindi, come figliuolo maggiore di tutti quelli che restavano in casa, fu erede non solo del regno di Napoli e di Gerusalemme, ma eziandio della Contea di Provenza in Francia. Ma Re Giacomo di Castiglia, lo fece prigioniero e liberò il padre, in cambio della mano della figlia Sancia per Roberto e così saltò tutto, ma Luigi ebbe la cattedra vescovile senza essere mai stato prete e poco dopo morì e fu fatto santo. Con le sue reliquie, genitori e parenti, fondarono numerose chiese, poi divenute celebri e servite agli Angioini per rafforzare il potere politico a danno dei Castigliani. A lui si deve il ritrovamento della Madonna di San Luca conservata, donata e venerata a Casaluce di Aversa dal santo nato a Nocera dei Pagani, o forse a Lucera di Foggia, che prese forma fra i ruderi dell'Ate di Lucerinum di Arechiana memoria.
Carlo V, l'amore e Napoli: Carlo d'Asburgo, le donne poco conosciute dell'Imperatore
Arturo Bascetta
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2022
pagine: 150
Carlo V d'Asburgo fu un donnaiolo senza riserve. Ebbe figli dalla moglie e fuori dal matrimonio, relazioni dentro e lontano dal palazzo. Fu l'uomo più potente della Terra con una fanciulla in ogni stato pronto a consolarlo. Era figlio di Juana «la Loca» e di Filippo «il Bello», e pertanto dové scontrarsi con nonno Ferdinando «il Cattolico» scommettendo su chi arrivasse prima a Germaine de Foix della casa di Francia, nonna acquisita dalla cui relazione ebbe la piccola Isabel Infanta di Spagna. Da qui gli scontri con il Cattolico contro la figlia, Regina tutrice di Carlo e madre che governava anche Napoli in suo nome. Poi Carlo divenne Re e Imperatore e surclassò tutti, soprassedendo alla malattia della madre e dei parenti, dedicandoli alle amanti in carne e ossa, e quindi lasciando l'Infanta a orfana figlia di primo letto, Isabel, pur avendo un padre imperatore. La presunta relazione di Carlo con la nonna era il miglior segreto di Isabelletta custodito a Corte, frutto del viaggio galeotto fra nonnastra e nipotastro. Ma il fato volle che le braccia imperiali si aprissero alla principessa di Salerno, sposa del fedele generale Sanseverino, Isabella Villamarina. Ed ecco che oltre a Guelfi e Ghibellini, Carlo V dovette fronteggiare anche i Napoletani, che lo videro come l'amato Imperatore alla Incoronazione, dove non mancarono la bella amata partenopea e la Corte del Principato col Tasso padre del poeta. Da qui la corsa a Napoli subito dopo la conquista del litorale africano, con la spedizione del Principe a Tunisi col Conte di Sarno, quando l'Imperatore tornò dall'Africa a Napoli e gli fu fatta in suo onore una lunga processione con fra balli e fuochi, ottenendo l'ex capitale, finalmente, le capitolazioni di Napoli: lo Statuto. Ma la miglior festa proseguì a Piazza del Gesù per corteggiare la Principessa, dando vita all'amicizia e allo scontro col marito che porterà alla rivolta di Napoli e poi al perdono con il «2 Ducati» d'oro. Così finisce un amore: per tradimento politico.
La padrona di Ferrara. Eleonora d'Aragona, la principessa Dianora di Napoli a Duchessa d'Este
Sabato Cuttrera
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2022
pagine: 150
Questo libro nasce senza alcuna pretesa di verità, ma in risposta alla insopportabile saccenteria di certi storici dei secoli scorsi che sono arrivati a confondere le città antiche altomedievali del Gargano dei Greci con omonimi paesini nati dopo il sisma del 1348 quando il Regno di Sicilia ebbe sede in Napoli, la Regina Giovanna I sede' sul trono in S. Chiara e le coste del reame furono invase dai Catalani. Ecco gli argomenti trattati. 1. Una discendenza di sangue reale - I bisnonni materni Principi di Taranto - Caterina e Tristano conti di Matera: i nonni - Mamma Isabella dei Chiaromonte di Lecce - Il padre Ferrante erede di Alfonso il Magnanimo; 2. Figlia della cometa di Halley - Le nozze di stato diventate favola con prole - La famiglia cresce: Eleonora è secondogenita - Neonata col nome dell'Imperatrice - La cometa di Halley come flagello del 1456; 3. La principessina di Napoli - Peste a Palazzo Reale: morte del Re nonno - I genitori diventano sovrani di Napoli - La Corona in rovina: la madre fa la colletta; 4. Il matrimonio con la casata estense - Immortalata bambina dall'arte sacra - La malattia della madre che si cura a Pozzuoli - Cresciuta nella corte che valorizza la moda - Il fallito matrimonio col duchino di Milano - Don Diego Cavaniglia conte di Conza: l'amante; 5. Una duchessa amata da Ferrara - Eleonora sposa Ercole d'Este: è Duchessa - La nascita dell'erede Alfonso turba gli Estensi - Ferrara salvata dalla sommossa - Vicària del Duca durante la Guerra del Sale - I matrimoni di Alfonso e di Beatrice col Moro - I mal d'orecchio e di stomaco, la morte.
Gisotta Baucia. Isotta Ginevra del Balzo fu Pirro
Arturo Bascetta
Libro
editore: ABE
anno edizione: 2022
pagine: 112
Isotta, detta Gisotta, era molto amata non solo dalle popolazioni dei feudi dotali e di quelli appartenuti al marito, ma anche dai Napoletani. Si dice che per lei stravedesse anche l'Imperatore Carlo V, il quale, non mancò di fargli riverenza dentro casa. Così Campanile: - Per lo che venedo in Napoli l'Imperadore Carlo V andò à visitarla fino a casa. Isotta passò a miglior vita nel 1530, a settant'anni compiuti, molti dei quali mai in solitudine, nonostante le infinite crudeltà subite dalla sua famiglia. «Morì Gisotta negli anni di nostra salute M.D.XXX, essendo ella d'anni settanta, e fu seppellita in S.Chiara di Napoli». Sulla pietra tombale monumentale fu scolpito un memorabile saluto. Forse gli altri protagonisti della sua vita ebbero più fortuna. Fra essi sicuramente si possono annoverare le sorelle: Isabella Regina da una parte e Antonia nel Marchesato dei Gonzaga dall'altra. Ruggero de Pacienza, nel suo Balzino ne traccia il profilo migliore. Lei, la figlia di Pirro, il Principe di Altamura, dall'infanzia nel «Duceto» venosino di Calabria, e dal complicato matrimonio col Duca di Ariano. È De Guevara, Conte di Apice, fatto Marchese del Vasto, quando le regalò la gonnella imperiale, in uso da Apice ad Andria. Purtroppo dovrà fare i conti con il Re per la prigionia del padre e la morte del fratello, fino a scampare lei stessa al limoncello avvelenato che però uccise il marito. Da qui il doppio gioco fra Re e ribelli della Congiura dei Baroni di cui Ysotta divenne maggior complottista, trattando il Papa, e incontrando i nemici del Re nel covo di Lacedonia e nella Baronia. Isotta fu a Roma e fece rapito il Principe Federico a Cetara, ma l'erede fu assediato sul fiume Calore di Apice e il covo irpino scoperto da Re Ferrante che trattiene i ribelli pugliesi in cattività. Poi la fine delle ostilità, l'arrivo dell'Imperatore Carlo V in visita alla vedova e sua morte in pace.