ABE: Donne reali e uomini d'arme
Isabella l'imperatrice: sorella di re Enrico III d'Inghilterra e sposa di Federico II di Svevia: la tradizione inglese del Natale, le nozze, la reggia, la prigionia in Puglia
Sabato Cuttrera
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 178
Isabella abitò il castello di Gloucester. Nei registri quotidiani delle spese, alla data del 13 novembre 1231, venne annotato che Guglielmo, sarto del re, ebbe l'incarico di recarsi di persona alla fiera di St. Edmondsbury, per acquistare vari articoli per l'abbigliamento del suo padrone, una tunica, una sopravveste e un mantello di panno azzurro, e altri pezzi, fra cui un mantello di daino, per Lady Isabella. Il regalo di Natale fatto dal Re Enrico a sua sorella fu di tre piatti e tre saliere d'argento. Pochi mesi dopo le donò anche un calice d'argento dorato, con due tovaglioli d'altare per la sua cappella e altri arredi sacri. Le provviste per lei e la famiglia dovevano però essere fatte da due o tre uomini onesti di Gloucester. «Il Re stesso contribuì in gran parte alla sua dispensa con doni di vino e cervi, e fece anche riservare un tratto di una delle sue attività di pesca al suo uso. Le voci per Isabella sono meno frequenti nell'anno successivo. Viene menzionata due volte mentre riceveva piccoli doni di carne di cervo dal re, e arriva un ordine secondo cui Warin, il cappellano regio inviato a Isabella, riceverà un sostegno adeguato per due cavalli e due uomini per i suoi utilizzi». Tra i regali c'erano una tavola e una tavoletta d'avorio di Sardegna, che la contessa di Ponthieu aveva donato al Re, e una tavola da scacchi e pedine, custodite in uno scrigno, anch'esso d'avorio, che aveva ricevuto dal priore di Gerusalemme. Fra i regali anche 24 fasci di seta lavorata e di oreficeria, donati al sovrano da parte di Adam of Shoreditch e di altri orafi. Queste fasce erano a quel tempo, e molto tempo dopo, tra gli articoli più costosi di abbigliamento femminile, e spesso erano incastonate da gioielli di grande valore, come quelli ricevuti in occasione del matrimonio con Federico II di Svevia, quando divenne Regina e Imperatrice, seguendo il marito nelle cerimonie in Germania e in Italia, fino a ritirarsi nel Regno di Puglia. Sebbene Isabella fosse stata così a lungo lontana dall'Inghilterra, tuttavia, quando la sua vita stette per volgere al termine, i pensieri e gli affetti si aggrapparono ai momenti belli della sua giovinezza. Si dice che la sua ultima richiesta fatta al marito fosse quella di instaurare rapporti ancora più amichevoli con suo fratello, il Re Enrico III, e assisterlo con consigli paterni ogni volta che ne avesse avuto bisogno. La sua morte avvenne a Foggio, nella regione di Napoli, e fu sepolta con gli onori imperiali nell'antica città di Andria. L'Imperatore ritenne opportuno che i suoi funerali fossero celebrati in tutta la Puglia, e scrisse la seguente lettera alla magistratura della provincia: Così la lettera di Pier della Vigna: - Non siamo riusciti a sfuggire alle insidie di un nemico nascosto, poiché, dopo aver sottomesso innumerevoli regioni al giogo della nostra maestà, e mentre possedevamo pace e tranquillità, la sventura di una morte improvvisa ci ha portato via violentemente la serenissima Augusta, nata da stirpe reale. Non possiamo dunque mostrare gioia nel volto, poiché la morte del nostro consorte ci spreme una coppa di amarezza, e ci molesta e ci opprime molto. Tuttavia non siamo disposti, per l'amarezza del nostro dolore, a influenzare la nostra maestà in modo da offendere il nostro Creatore, o a lasciare che l'immensità del nostro dolore ci impedisca di conferire degnamente e con riverenza l'onore che si conviene e si addice alla nostra consorte, poiché desideriamo particolarmente che la memoria di un tale partecipe dei nostri onori sia celebrata su tutta la terra. Perciò vi ordiniamo severamente che le sue esequie siano celebrate universalmente in tutta la vostra giurisdizione, da tutti gli abitanti in ogni luogo, e principalmente dal clero e dal popolo delle città - le campane vengono suonate ovunque - affinché coloro che sono riuniti nelle chiese possano raccomanda soprattutto l'anima dell'Augusta al Dio vivente, che toglie lo spirito dei principi.
Isabella d'Aragona: la vedova grigia di Giangaleazzo Sforza di Milano (non chiamatemi Donna Sabetta della Duchesca di Napoli)
Arturo Bascetta
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 158
Isabella era donna coraggiosa e saggia, mentre suo marito Gian Galeazzo, se era d'indole mite e animato da buoni sentimenti, ma mancava d'ingegno negli affari. La promessa di matrimonio tra Gian Galeazzo Sforza, Duca di Milano, e Isabella d'Aragona, figlia del Duca di Calabria, alla corte di Napoli era nell'aria già da anni, e quello che si era stipulato, mentr'essi erano ancora fanciulli, «dovevasi effettuare adesso che l'uno toccava i quattro lustri, e l'altra aveva sorpassato i tre». Questo libro è la ricostruzione di quell'ambiente, fra volti e tracce di fasti, che hanno affascinato tutti gli storici che si sono imbattuti nel Rinascimento. «Il Moro aveva sul principio pensato che con questo matrimonio, mentre secondava il desiderio della dinastia aragonese, avrebbe potuto procacciare il proprio meglio. Il contratto di nozze si segnò nel Castel Nuovo di Napoli, addì 22 dicembre 1488. Subito dopo Isabella, i milanesi che erano venuti a riceverla, e la sontuosa comitiva che l'accompagnava, fecero tutt'insieme vela per Genova, per poi avviarsi verso Milano. «Inaudito» l'apparato messo su per quell'evento nazionale del 1 febbraio 1489, quando la giovane e bella napoletana fu accolta nel castello milanese per il matrimonio. I festeggiamenti pomposi erano questa volta uno scherno: Isabella si trovò infelice dove avrebbe avuto il diritto di essere rispettata e amata. E il Moro, con Isabella fosse incinta, raddoppiò la guardia intorno al Duca, quasi la tenesse prigioniera nel castello di Pavia...
Enzo I re di Sardegna imperatore mancato: l'erede di Federico II di Svevia prigioniero a Bologna
Anna Barbato, Sabato Cuttrera
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 165
Fu vestito con veste di scarlatto, foderata di vaj. Aveva in capo il diadema reale, d'oro formato, e d'argento, e ornato di pietre preziose. Una verga d'oro teneva in mano, e due copertoj si vedevano foderati pure di vaj, uno, che si vuole di scarlatto fosse, di sciamito l'altro. In cotal guisa condotto fu dal palazzo del comune fin alla chiesa di S.Domenico del tanto illustre, e ragguardevole ordine dei predicatori, accompagnatovi dai più celebri dottori di legge, e da tutti gli ordini della città. Bello era anche a vedere, come l'accompagnavano alla sepoltura i tre quarti del popolo di Bologna, e questi dei più nobili. Grande, come può idearsi ognuno, fu il concorso d'ogni sorta di persone diverse per età e per sesso, compiagnendo tutte la di lui sfortunata sorte. Egli però felice, che nelle mani cadde di sì colto popolo, e benigno, cui era ben a cuore sua persona; poiché fe d'altrui potere prigione, in tempi specialmente si barbari, che i prigioni come se rei venivano trattati; e di qualche città o popolo, di que' tanti dal padre. E, da lui, con barbare maniere offesi, non così la gli sarebbe andata. Più felice anche, se di vero cuore pentito de tanti commessi sì atroci delitti, e dell'alto dispregio, in cui ebbe la romana Chiesa, e i più sacrosanti prelati, misericordia seppe rinvenire nel cospetto del giusto Dio. Il giovane erede degli Hohenstaufen morì così a Bologna nel 1272, seguito, destino beffardo, dalla disfatta del Regno di Gallura. Per tutti, sebbene prigioniero, fu sempre il biondo Re di Sardegna, l'unico sovrano di quelle regioni che aveva abbandonato, ma che pare avesse continuato a seguire i conti portati dagli erari amministratori. Tutti gli storici concordano che Enzo non lasciò nulla in eredità, non possedendo altro che pochi spiccioli.
Bona di Savoia, la ducissima di Milano: l'orfanella, l'eredità degli Sforza e il voto a Firenze
Arturo Bascetta
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 132
Nobildonne, rapporti epistolari e comparaggi negli stati preunitari. Volendo dare un incipit a questo testo di storia pura, l'autore non poteva che partire dall'albero genealogico dei Savoia, rinvenuto in un manoscritto dalla copia inedita, inserito nelle ultime biografie trattate in collana. Ma non solo. Si riparte anche da Francesco, figlio del fu Muzio Sforza, capitano del Regno di Napoli, giunto da Cotignola per mostrare il suo ardire e il suo ardore verso la Regina Giovanna, portando a casa feudi e castelli dotali per sé e per i figli. Si può quindi tranquillamente affermare che gli Sforza beneventani furono cugini stretti del Duca di Milano, possedendo gli imprendibili castelli sui passi dell'enclave papalino che costarono il Regno a Re Renato d'Angiò. E' quindi da Francesco che nacque anche la progenie Sforzesca di Milano per aver saputo farsi spazio a corte, fra una cavalleria e un ammiccamento con Bianca Visconti, dalla quale ebbe tutta l'eredità degli Stati lombardi, a danno dei familiari, già sul piede di guerra. Fu questo forse il motivo per cui il piccolo Galeazzo non era nemmeno nato che la mamma provvide a lanciarlo sul mercato più vicino, quello di Mantova, designando per amata duchessina del figliolo la bella e intelligente, nonché poetessa acculturata dei Gonzaga, Dorotea dagli occhi bianchi. C'è da dire che fra i due pargoli nacque anche l'amore pure, sbocciato nell'istinto amoroso adolescenziale, fra lettere, bacini e lacrime d'amore. Accadde però che Bianca intravide nel figlio la speranza di poter presto riunire in qualche modo la famiglia Viscontea per evitare guerre, immaginando di dare il figlio, come suggeriva l'astuto e arguto marito Duca, nelle mani di ben più ricco e nobile signoria. Da qui la separazione epistolare, struggente, fra gli amanti per sospetti sulla verginità della dama dagli occhi bianchi, voltando pagina per gradimento della Padrona di Milano, affinché Galeazzo sposasse il partito Savoiardo, impalmando l'orfanella rimasta in casa del Duca Amedeo: la bella Bona. E così ecco Bona già pronta a frequentare la corte sforzesca, mentre la cognata diventa Duchessa di Calabria e la cometa di Halley non preannuncia nulla di buono: solo il sisma e la peste. Ma Galeazzo è l'erede e Bianca è la sposa, anche se non piace a tutti in Casa, che Amedeo di Savoia gli porta sull'altare il 6 luglio 1468. Da qui l'amicizia fra casate sempre più influenti degli Stati Italiani preunitari, arrivando a Firenze, per raggirare le difficoltà sopraggiunte a Napoli. Ma se mancano i soldi l'astuzia di Bona provvederà a trovarli. Le lettere con Lorenzo de' Medici rappresentano la prova della corrispondenza privata fra le famiglie al fine di ottenere soldi, tanti soli, in prestito certamente, offrendo banchetti e battesimi di comparaggio, e le insegne ducali. Spunta così il voto fatto da Bona alla Madonna di Firenze e il viaggio organizzato dal marito, con pifferi, musici e poeti, con l'intera corte milanese al seguito, il tutto in onore della moglie. Il programma fu impostato per aprile del 1471 e uno stuolo di nobili timorosi dell'invasione veneta e affamati di potere entrò in Firenze il 1 maggio, per la sfilata delle carrette milanesi. Festa fatta, prestito avuto, alleanza stretta, non resta che tornare a casa per la via di Lucca, Genova e Pavia, donando qualche Terra faentine ai nipoti di Papa Sisto e sedendosi a tavolino per passare a stringere nuovamente i rapporti con i Napoletani. Stavolta sarà il biondo e virile Giangaleazzo a sposare Isabella d'Aragona, riportando soldi e allegria in Casa degli Sforza e dei Savoia, prima del terribile epilogo che quattro anni dopo insanguinò la Basilica di Santo Stefano a coltellate, strappando a Donna Bona l'amato figliolo.
Una mamma per regina. Ferdinando III marchesino di Bisceglie e Isabella del Balzo da Venosa
Arturo Bascetta
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 154
Il giovane Vicerè Fernando d'Aragona, figlio di Federico III di Napoli e Donna Sabella del Balzo, era stato vittima dello scontro fra Spagnoli e Francesi per il predominio del Sud. Dopo il successo del Gran Capitano Cordova, tradotto anch'egli prigioniero a Valencia (1503), fu confinato nel Castello di Xàtiva, vedendo decaduti tutti i suoi titoli, da quello di Marchese di Bisceglie a quello di Viceré del Regno di Sicilia. La Reggia di Valencia era fra le più lussuose di Spagna, già ammirata dal tedesco Jerome Münze durante la sua visita del 1494, per la bellezza dei giardini e del palazzo con una miriade di stanze, poi modificate in meglio per la presenza stabile dell'ex Corte napoletana. Questi parenti, anche se non ebbero una grande influenza sulla Corte, rappresentarono, con il loro lignaggio e i loro costumi, la forte influenza straniera di matrice rinascimentale. Poco dopo il matrimonio a Segovia con la Regina Isabella del Portogallo (figlia di Maria e quindi nipote del fu Re Ferdinando di Spagna), nel 1523, l'Imperatore Carlo V liberò Fernando III dalla vicina prigione di Xativa e, nel concedergli la mano della matrigna Germana, lo elevò a Vicerè in Valencia. Il 28 novembre del 1526 Fernando di Napoli entrò in città da Porta San Vicente verso la Cattedrale, dove giurò solennemente per il suo ufficio. Per l'occasione vi sarebbe giunta anche la mamma Isabella, la quale, dopo l'esilio in Francia e la morte del marito a Tours, trascorse il resto della sua vita a Blois. Con l'ex Regina di Napoli giunsero a Valencia le infanti Julia e Isabella, Marcia Falconi (che aveva allevato il Duca e i suoi fratelli), Beatrice de Rufelli, Giovanna Calva, Giovannella di Penya e altre dame che l'avevano servita nel Palazzo di Blois dopo la morte del marito Federico I. Con due prestigiosi e colti Sovrani come la Viceregina Germana di Foix e suo marito, il Palazzo Reale di Valencia divenne il centro nevralgico del Regno, ma non mancarono le polemiche verso Germana, ricordata per la dura repressione dei Germanias ai tempi del Cattolico. Ricominciava qui, esiliato dal mondo, la vita del Marchesino di Bisceglie che aveva seguito la madre Regina Isabella del Balzo durante il suo lungo viaggio per l'incoronazione, da Barletta a Napoli. Fu lui l'ultimo blasonato della casata d'Aragona di Napoli, Ferdinando III, fatto fuori dallo zio Cattolico e dai Francesi, con la divione in due del Regno di Napoli. Fu proprio lui che tentò il colpo finale sposando la vedova dello Zio Cattolico, la Regina Germana, nella speranza di essere reintegrato presto nel suo Regno di Napoli, proprio quello che più non vide.
Ludovico I D'Angiò, l'erede al trono che lasciò la corona: Napoli angioina in ostaggio dei catalani
Sabato Cuttrera
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 132
1. FIGLIO A CARLO I E A MARIA D'UNGHERIA - Re Carlo I d'Angiò: il nonno «Carlotto» - Maria degli Arpad: la madre - Carlo II Principe detto lo Zoppo: il padre - Luigi I Duca Durazzo; lo zio scomparso dalle carte - Nato nel Palazzo della Corte di Nocera o Lucera? 2. NATO NEL CASTELLO DI «NUCERA» - Carlo, Luigi, Roberto e Filippo: tutti figli nocerini - I Principini fra le mura di una Nocera - Con la madre in Provenza dal 1282 - Il padre prigioniero perde isole e flotta - La madre libera gli Svevi: lo scambio fallisce - Il nemico libera il Re, ma con Luigi ostaggio 3. ALL'INCORONAZIONE DEI GENITORI - Nel reame senza sovrani alla morte del nonno - Carlo è libero, i figli restano prigionieri - Incoronazione a Rieti, viaggio in Assisi - Nocera e Salerno passano a Carlomartello 4. L'EREDE UNIVERSALE DI 4 REGNI - Carlomartello Re d'Ungheria: il primogenito - Luigi erede d'Ungheria prima di Caroberto - Il Papa fa tosare Luigi alla presenza dei due Re - Carlo il Senzaterra fu Re Carlo II? - Niente porpora, sì ai frati: la rinuncia al reame - Trattato d'Anagni: regno a Roberto, via Luigi - L'ex Principe era erede universale dal 1295 - Il frate possessore della Madonna di S.Luca 5. ROBERTO PREDESTINATO DAI CATALANI - La liberazione e i nuovi equilibri: Pace di Anagni - A Giacomo solo le isole, ma erede sarà il genero - Carlo è libero se si ritira il primogenito vivente - I sogni di Luigi ceduti al suocero di Roberto - Luigi, vescovo improvviso a soli 21 anni - L'arrivo a Tolosa: la cattedra vescovile - La rinuncia al titolo e la morte a Brignoles 6. SANTIFICAZIONE E DIFFUSIONE DEL CULTO - Il testamento dei poveri: libri ai frati - L'elevazione a santo decisa dal padre - Le reliquie distribuite dalla madre - La traslazione e il reliquiario napoletano - La ricompensa di Roberto: le intitolazioni - La Regina Margherita non fu figlia di S.Luigi - Le reliquie traslate a Marsiglia da Sancia - Il mito alimentato da s.Francesco da Paola - L'orto di San Luigi: cent'anni dopo - L'ultimo viaggio da Marsiglia a Valenza
Galeazzo Sforza, il Dittatore di Milano. Breve vita del duca che pretese il saluto romano dai lombardi
Arturo Bascetta
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 216
Questo libro è il frutto della continua ricerca portata avanti dagli autori della ABE sui cronisti che raccontano i fatti da contemporanei. Dopo diverse biografie fiorentine non poteva mancare il seguito alla Casata degli Sforza, originata da un colpo di mano ai danni dei Visconti che trasferirono il patrimonio di famiglia al capostipite Francesco, sposo di Bianca, ultima erede di Milano. Il prologo sulla nonna perugina, Lucia Tarzana da Torgiano; sul padre, Cavaliere alla corte dei Visconti; sulla madre Bianca, l'erede di Milano; sulla sorella Ippolita, sposina del Duca di Calabria, che di ferocia fu maestro; spunta finalmente il nome di Galeazzo, duchino crudele. Con tali premesse, alla morte del padre, Galeazzo si liberò gradualmente della madre, in quegli anni in cui la cometa di Halley, fra sisma e peste, non preannunciava nulla di buono. L'ultimo viaggio a Napoli fu fatale al genitore e provocò l'esilio di Bianca a Cremona, subito dopo il matrimonio con Bona di Savoia, sorella del beato Amedeo e orfanella di quel Ducato. Da qui lo scontro velato con la madre, a colpi di veleni, nell'aria e nella minestra, che videro più volte preoccupata la sorella Ippolita, tornata da Napoli più volte, fino per assisterla in punto di morte. La vecchia Duchessa muore quasi nelle sue braccia: ma fu vero veleno? Fatto è che senza l'ultima dei Visconti i nemici crebbero in casa e anche fuori: la sorella fu quasi espulsa da Napoli con tutta la sua corte milanese al seguito; e i Veneziani si spinsero fino a Bologna, stuzzicati da Zio e Sforza fratello, passati col nemico, in uno scenario di guerre-lampo, dentro e oltre Italia, che portarono alla Battaglia di Negroponte vinta dai Turchi. Nascono, e nel mentre crescono, Giangaleazzo ed Ermes, con Elisabetta presto sposa di Ercole d'Este. Sono eventi che rafforzano il Duca, illuso dai Francesi e pronto a scippare Firenze a Napoli, con la storica sfilata delle carrette milanesi in viaggio verso il Palazzo che fu di Cosimo dei Medici, dove i duchi ebbero ospitalità e meraviglie, percorrendo la Toscana in lungo e in largo. Il Duca, del resto, fu costretto a sfidare lo Zio, passato nelle fila del Marchese, e perciò a ostentare sfarzo a tutti, per poi tornarsene a casa per la via di Lucca, Genova, Castelletto e Pavia. Fu l'occasione per stilare una serie di intrecci sulle Terre faentine, date ai papalini di Sisto, preparando la dote per le nozze della figlia Eleonora con Ercole d'Este, quella dello storico pranzo allietato da musici e teatranti, ma anche lo sposalizio del figlio Giangaleazzo con Isabella di Napoli. L'addio per il cognato Amedeo di Savoia e il sisma, ritornato fra Adda e Ticino, sono il presagio all'orgoglio di chi vorrebbe diventare Re di un reame proprio, quello che trasformò subito il Duca in Duce, con l'avallo dell'Imperatore e tanto di saluto romano. Il gioco fu però scoperto da frà Pietro da Roma. Da qui l'incubo del veleno, che il Cardinale avrebbe ordinato ai Veneziani, da somministrare al padre padrone di Milano, dopo gli strani matrimoni combinati messi su dalla Duchessa per i figli. Al di là della discussa immunità concessa al segretario Colletta, le nozze di Biancamaria e il rapimento della cognata Duchessa di Savoia, altra verve giunge in casa Sforza, fino alla congiura vera e propria, ordinata dagli ex parenti e che si concluse con il tragico fatto di sangue consumatosi in S.Stefano. Qui il Dux venne assassinato dai Visconti e Giangaleazzo, eletto successore a 8 anni, fu costretto a sposare la cuginetta, orfanella napoletana, dopo la morte di Donna Ippolita, Regina senza corona che lasciò vedovo il crudele Alfonso II. Ma il potere degli Aragonesi di Napoli fu tutto in discesa rispetto ai venti che soffiavano dalla Spagna quando l'erede Giangaleazzo sposò fiero «Isabelletta», ignaro di finire nella trappola dei parenti, divenendo presto prigioniero del Moro in quel di Pavia...
Isabella d'Aragona e Giovan Galeazzo Sforza: donna Sabella e l'eredità del duca Giovanni
Arturo Bascetta
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 176
Il 1° febbraio 1489 la giovane e bella napoletana fu accolta nel castello milanese e si celebrò il matrimonio. I festeggiamenti pomposi erano questa volta uno scherno: ed Isabella si trovò infelice dove avrebbe avuto il diritto d'essere rispettata ed amata. Il Moro quando cominciò a sospettare che Isabella fosse incinta, raddoppiò la guardia intorno al Duca, quasi prigione nel castello di Pavia. Isabella era donna coraggiosa e saggia, ma suo marito Gian Galeazzo, se era d'indole mite ed egregia, se era animato da buoni sentimenti, tuttavia mancava d'ingegno, e d'abilità nell'esercizio degli affari. In ciò sta la spiegazione della possibilità del tradimento del suo tutore, ed in ciò consiste pure la scusa ch'egli adduceva a quelli che gli avessero domandato conto di quanto faceva. Lui era il passato e l'avvenire, ma non seppe sfruttare i suoi tempi, né capire dove andasse il mondo. Se avesse avuto un raggio soltanto del genio del suo omonimo Visconti, la storia avvenire di Milano ed insieme forse quella di tutta Italia sarebbe stata diversa. Isabella scrisse a suo padre ed all'avo implorando soccorso: ma la sua lettera non ebbe altra conseguenza che di dividere sempre più la famiglia aragonese dal Moro. Ferdinando mandò a Milano Antonio e Ferdinando da Gennaro, ma essi non ottennero da Lodovico se non questa risposta sdegnosa: - Dello stato io tenni sempre le cure, e a Gian Galeazzo riservai solamente gli onori. La prevista nascita del figlio di Gian Galeazzo fece pentire il Moro d'avergli concesso una sposa così amena, insperata e degna solo di un vero principe come lui, al quale, non restava che scegliere una donna altrettanto elegante e bella e di stringere i rapporti con Ferrara. Isabella, «per bellezza di corpo, et d'animo degna di prospera fortuna, dopo' le nozze infelici con Giovan Galeazzo, figliuolo di Galeazzo ucciso dai congiurari cascó in tanta calamità, che fu poi, mentre visse, essempio di malavventurata Principessa. Imperoche con vano nome di Duchessa fu compagna delle miserie, et delle angustie, nelle quali sotto specie di tutela era tenuto il marito per iniquitá del Zio; né qui si fermó l'impeto della suá trista sorte, peroche in un tempo istesso vide privarsi del marito per forza di veleno, et il padre spogliato del Regno dall'arme francesi», per cumulo de gli infortuni suoi si vide cader di mano ogni speranza, che il picciolo figliuol suo potesse aver adito allo stato paterno, poi che, oltra che quasi nel medesimo giorno che morì il marito, fu usurpato il titolo con le insegne di Duca, da Lodovico; dopo alcun tempo, il detto suo figliuolo erede della disavventura di lei fu condotto in Francia dove in monastero chiusa, finì la sua vita.
L'invasore di Parigi: il bottino di Carlo VIII Re di Napoli (Charles de Valois)
Sabato Cuttrera
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 186
La frantumazione politica del Regno di Sicilia Ultra e Citra gettò Napoli nell'abbandono. Ovunque regnava il caos. Palazzi abbandonati, case diroccate e cloache a cielo aperto erano il brutto biglietto da visita di una metropoli soggiogata, derubata e affranta dalle guerre. L'ex capitale era allo sconquasso e, perduto il trono aragonese nel 1501, subì la falsa amicizia spagnola del prorex Cordova, che scippò mezzo reame alla «regina triste» in nome di Ferdinando il Cattolico, come già deciso da quest'ultimo sulla carta, essendo in combutta con Re Luigi XII il Cristiano, al quale andò l'altra metà, avallata dai baroni avversi. Toccarono quindi agli Spagnoli del «la Calavria, Basilicata, Terra di Otranto e tutta la Puglia». Furono dei Francesi del «Re Luigi, il Ducato di Benevento, di Abruzzo, Campagna, e la Città di Napoli», sempre più vuota e abbandonata al suo destino e senza più un solo popolo, diviso fra rossi e bianchi. La conseguenza fu che al cambiare della casacca si moltiplicarono i luoghi di confine delle antiche province, a causa dello spostamento forzoso voluto da abati feudali e signori di diverso partito. E il risultato fu che si rifondarono ancora una volta paesi di qua e di là, costringendo alla migrazione le piccole popolazioni di servi della terra da un capo all'altro della linea immaginaria se non era gradita ora a questo e ora a quel feudatario. Con un Viceré a Levante e uno avverso a Ponente, «essendo così divisi, ne nacque anco la divisione de' cuori de li poveri baroni e città del Regno: imperciò che i vassalli de lo spagnuolo si chiamavano Spagnuoli, e seguivano la lor insegna rossa; e i vassalli del francese si chiamavano Francesi, e seguivano la lor insegna bianca: e era forzato spesse volte lo infelice figliuolo esser francese, essendo il suo miserabil padre legittimo spagnuolo», e viceversa. La cosa non poté certo reggere e, «venendo a rotta l'una nazion con l'altra, bisognò anco, che gagliardamente si oprassero rovinar l'un l'altro». E non solamente, a quel tempo, «fu consumato il Regno da la guerra, ma anche da continua pestilenza, e da incomportabile carestia. Per le quali calamità restò quasi voto di gente e di danari; gli edificii rovinati, i campi disfatti, la giustizia inferma, e la religione quasi che morta: e in questa pessima disposizione era anche la Città di Napoli pervenuta», rimasta divisa in due fazioni. Lo scontro infatti non terminerà con l'invasione lampo del Re di Francia. L'Anonimo, Guerra e gli altri cronisti delle Historie di Napoli «dicol che dopo la venuta di Carlo Ottavo Re di Francia nel Regno, il quale à guisa de fulgure venne in Italia, acquistò il Regno, e partissi, fu mandato da Luigi Re di Francia spano monsignor d'Obegni ad invaderlo, il quale fe' gran progressi, et acquisti nelle provincie di quello».
Ferrante Sanseverino. Principe ribelle. Princeps salernitanis. Volume Vol. 1
Arturo Bascetta, Anna Maria Barbato
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2024
pagine: 146
Il suo nome è in tutte le cronache del Medioevo. Visse il meglio dell'epoca, fra lusso, sfarzo e corti europee. Conobbe belle donne, cavalieri e uomini d'onore, ma la sua vita fu senza dubbia dettata dalla voglia di esistere e di sfidare continuamente le menti ottuse. Nacque orfano per vicende familiari di cattiva politica, perché fu praticamente abbandonato dalla madre - «utilizzata» dalla casa regnante per matrimoni di interesse -, alla quale deve il doppio cognome dei Sanseverino della Casa d'Aragona. Crebbe perciò con gli zii di Paestum e subito si innamorò di una bimba, Isabella, l'unica con cui giocare, scherzare, crescere. Fu senza dubbio il più giovane e ricco principino del tempo, finendo per sposare quella pupa, figlia del padrino e tutore, e divenendo presto titolare di tutti i feudi del defunto genitore, su cui si riprese la patria potestà, perduta per confisca. Il seme materno degli Aragonesi non mutò quindi la linea di sangue nell'erede della dinastia normanna padrona del Sud, invidiata e odiata dai potenti, ma amata dal popolo. Il suo impegno nella difesa delle città del Principato dagli attacchi turchi, così in battaglia, quando fu chiamato a servire l'Imperatore, fanno di Don Ferrante un fedele servitore della patria, presente tanto alla incoronazione di Carlo V, quanto nella guerra d'Africa. Ma la vita di un ribelle «ereditario», ricco o povero che sia, è complicata da vivere e da spiegare, preferendo egli costruire una sua corte letteraria, circondandosi di governatori-poeti, come il Tasso, e di professori trasferiti dall'università di Napoli a Salerno. Fu moderno e fluido nei sentimenti, Don Ferrante, anche quando l'Imperatore fece la corte alla sua amata, e l'istinto lascivo dell'amore lo tenne lontano dalla consorte. All'epoca Napoli subì una violenta repressione che deputati e storici filo governativi hanno tentato di nascondere davanti al tribunale della storia, mentre il suo Principe, il cavaliere più amato del Regno, finiva trattenuto dal suo Re, come un prigioniero inerme, diseredato ancora una volta, e esiliato in Francia, finendo a Costantinopoli, accolto nell'harem del Gran Turco.
Enzo I Re di Sardegna prigioniero a Bologna. Il figlio di Federico II nato a Cremona
Anna Barbato, Sabato Cuttrera
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2024
pagine: 150
Bologna era in festa per la sconfitta del Re svevo e il carroccio metteva allegria per il bottino reale: Enzio, il figlio di Federico II, era finito bottino dei Bolognesi. Tutti esultavano lungo il percorso fatto fare al prezioso prigioniero e già sfoggiavano il vestito a festa. «Terminava la sì decorosa entrata il pretore lieto e giulivo, un bel palafreno bianco cavalcando, rivestito di porpora, onorato da' suoni, e canti. La moltitudine del popolo fuor di città uscito per esser a parte di tanta festa, la non si può ridire, prendendo tutti oggetto, e di stupore, e di allegrezza. Fissavano gli occhi in ispezie sopra il Re Enzo, il quale d'anni intorno a' venticinque, bello della persona, tutti attirava a sè i riguardanti». I suoi capelli biondi lunghi quasi fin a cintola, e il complesso tutto della di lui corporatura alta e gioconda, muovevano ancora a tenerezza, e pietà. La cosa «compassionò alcuni, come nelle disgrazie intervenir suole, in ispezie i bolognesi dolcissimi e gentilissimi, tanta sua disgrazia. Tanto è vero, che anche ne' nimici la sfortuna di persone di merito muove a compassione». Bologna era diventata il simbolo della libertà per i Guelfi di tutte le nazioni. «Può ognuno immaginarli quanto andò per le lingue tutte di Europa la sorte felicissima di Bologna, non potendo che recare stupore, come una sola città giunta fosse a tal altezza di fortuna e gloria. Egli è questo il tanto strepitoso avvenimento alquanto diversamente narrato da Matteo Paris, volendo che Enzo unito a cremonesi e reggiani scorresse i confini de bolognesi a loro danno, onde questi posti in agguato, mentr'egli incautamente n'andava, al Ponte di S.Ambrogio l'attaccassero, che fatto prigione con incirca ducento soldati e molti reggiani, e cremonesi fosse con essi condotto a Bologna, dove all'arbitrio de loro nimici crudelmente assai essendo trattati per ottenere qualche alleviamento, diedero diciottomila lire imperiali. Sia quei ch'egli vuole, certo è non potersi ciò accordare per quello Enzo riguarda, note essendo le tante spese, con principesca liberalità, fatte dal Comune per trattarlo da suo pari».43 Al Re, insomma, non sarebbe mancato il necessario e fu vera neppure la storiella allegorica che era stato tradotto in una vera e propria gabbia. Bologna e Modena, città confinanti, «quando l'Italia tutta era in fazioni divisa, di contrario partito, ebbero insieme in varj tempi pertinacissime guerre».44 Certo è che stupiscono il fatto che sia toccato ai Bolognesi far prigioniero Re Enzo, quando la guerra era fatta da collegati, e principalmente voluta dai Bresciani. Biancardi riporta Manfredi per figlio naturale avuto da Bianca, madre di cinque spuri, tra i quali anche Enzo, perché pare che il nascituro abbia visto la luce nell'anno in cui Federico fu sposo di Jolanta o Beatrice, e quindi non già di Bianca. Fatto è che al piccolo fu mutato il nome di Arrigo in Enzio, alla tedesca, dovendolo distinguere dall'altro suo fratello già chiamato Enrico. Raffaello Morghen, nel corfermare essere stato un figlio naturale, dice che «non sappiamo l'anno della sua nascita, né il nome della madre, che solo in fonti tarde è identificata con Bianca Lancia dei conti di Monferrato». In effetti, incalza Don Celestino, «nulla sappiamo della di lui fanciullezza, né con qual maniera allevato». È il giovane erede degli Hohenstaufen, confuso con l'omonimo fratello Enrico, quello che morì a Bologna nel 1272, seguito dalla disfatta del Regno di Gallura. Per tutti, sebbene prigioniero, fu sempre il biondo Re di Sardegna, l'unico sovrano di quelle regioni che aveva abbandonato nelle mani della moglie.
Carlo V tra Napoli e Firenze: l'arco trionfale, il viceré e l'amicizia col duca di Firenze e il Merliano Da Nola
Sabato Cuttrera
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2024
pagine: 172
Per arrivare a Napoli Carlo V percorse la via Antica Major che da Salerno, risalendo Cava, e passando per Nocera e Sarno, giungeva a Pompei, che, non essendo stata rifondata, era territorio di Scafati e Castellammare, chiamata antica Stabia, per alloggiare nella futura Portici, presso l'antica Laucopetra. L'Anonimo: - Camminò poi innanti, et vidde Nocera delli Pagani, vidde il fiume Sarno, et scoverse il gran Monte Vesuvio, famosissimo per il suo incendio anticho. Et per la generosià delli vini grechi et latini, che producono le sue nobilissime vite, et venne alla pianura della Torre della Nunciata, et da man destra vidde le rovine dell'antica Stabia coverta dall'incendio, et dalla cenere del Vesuvio, ne ni mancorno persuni che del tutto non li dessero raguagli con gran piacere di sua Maestà et dalla Sinistra vidde il mare della Città de Castiello à Mare de Vico, et di Sorrento, et Massa, et scoverse l'isola di Capri. Et passato che hebbe le Pietre Arse, scoverse, e vidde l'Isola d'Iyscha, Procida, Miseno, Nisita, et il bel Capo de Posilipo, et poi scoverse la bile, et gran Città de Napole con li suoi felici colli, le castella, et il Porto; ma perche li Teatri, gl'Archi, li colossi, e gl'altri apparati p er l'intrata di Sua Maestà non erano compiti, Sua Maestà per dar sodisfatione à quella Città per favorire Berardino Martirano Secretario del Regno gentilhuomo cosentino di candide, et scelte lettere, et di costumi nobilissimi ornato, et di tal favore benemerito, restò servita d'alloggiare nella sua picciola villa di Leucopietra, vuolgarmente detta Pietra bianca, et nella corte di questa dormire. Quel delizioso luogo è presso il mare lungi da tre miglia da Napoli, di dovve se posseno vedere, et scoprire tutte le bellezze del bel sito dell'anticha Partenope, et tutto il mare craterico, anticho albergo delle favolose Sirene, ivi è vicino il Monte Vesevo dalla cui radice insino al mare e dalla destra alla sinistra have una larga e lunga pianura, che insino al fiume Sebeto se stenne, dove sono superbi edificij amenissime volle, deliziosi giardini, fruttiferose possessioni et campi fertilissimi, ove se fanno generosi vini latini, et grechi eccellenti....