La Compagnia della Stampa

«Sono Giorgio Costa, ho quarantacinque anni e ancora tanta strada da percorrere. Ho lavorato molto per realizzare alcuni sogni molto importanti, ma oggi sento che il mio viaggio è appena iniziato. Provo sempre la tipica sensazione che ti lascia leggere un buon libro: non vedo l’ora di passare al capitolo successivo per scoprire dove mi porterà la storia. Un po’ come quando sei seduto al bar al primo appuntamento con l’amore della tua vita e speri solo di prolungare all’infinito quella serata ordinando il prossimo calice di vino. Sono figlio della mia storia e padre di tutti gli obiettivi, le idee e le ambizioni che mi tengono sveglio di notte a immaginare chi e che cosa diventerò “da grande”. Guardandomi allo specchio, oggi, vedo riflessa l’immagine di un uomo che deve tutto alla sua famiglia, all’amore e alla voglia di mettersi in gioco. Un essere umano è tale solo se crede fortemente nei suoi sogni, al punto di non accontentarsi di una scorciatoia. Chi sogna, infatti, sopporta e ricerca anche la fatica, il sudore, la stanchezza e i mal di testa: sono tutti elementi testimoni di vita e passione.»

Racconto 1: Sulla mia montagnella io ci piantai un fiore, per il mio amico caro dell’infanzia rosa, ma quanto riso e pianto su quella montagnella, e lui silenzioso mi stava sempre accanto, facendomi le fusa e strofinandosi a me, facendomi capire che mi voleva bene. Il dolore che sentivo per la sua mancanza solo col tempo si sarebbe attenuato, però il suo ricordo è sempre rimasto in me. La mancanza del mio gatto mi fece vedere tante cose diversamente, come se fossi cresciuta tutta d’un colpo… Racconto 2: Così una forza misteriosa lo spinse a puntare fermamente l’obiettivo su quel viso, restando appartato dietro ad un albero. Quella visione catturò tutta la sua attenzione e non solo. Non credeva al colpo di fulmine, ma perché allora il suo cuore palpitava come quello di uno scolaretto? Non gli era mai capitato, era come rapito…

«Dopo la pubblicazione del mio libro dal titolo “Diario di una madre. Note di colore al femminile”, ho sentito l’esigenza di continuare a scrivere e raccontare e riempire i miei giorni per non sentire la solitudine. Sento che ciò mi aiuta e mi appaga e ho aggiunto alcuni racconti. Il mio scrivere è semplice, diretto ed esprimo giudizi sul mio vissuto con franchezza e sincerità. Non ho remore a dichiarare che sono credente e di affermare che ho cercato di vivere guidata dagli insegnamenti del Vangelo che leggo e medito quotidianamente.» Maria Luisa

Tonino e Gian Mario scrivono con tocchi da pittori tonali il “Novecento” della nostra terra. Dipingono come fosse un film il “nostro Novecento” lasciandoci in eredità un grande racconto. In queste pagine c’è la vera ricchezza dei nostri campi fatti di fango bruno e limpidi di acque sorgive. In questi racconti ci sono gli angoli abitati dei nostri paesi, come dipinti su tavole di legno a ricordarci le opere, ricche di anime romantiche, dei grandi pittori vedutisti di fine Ottocento. Resistono, Tonino e Gian Mario, nel silenzio della loro pittura di anime, resistono per una loro innata generosità a voler continuare a narrare come cantastorie attorno ai loro fuochi, mentre intorno un mondo svapora in uno scuro dormire.

Giovanni Meccia, giovanissimo, accosta il mondo dei super anziani e ne rimane affascinato, com’è naturale di fronte ad un tempo fuggito via, nemmeno immaginabile nel suo dispiegarsi. Sipario alzato su anni lontanissimi (in riferimento alla focosa fretta del mondo in corsa) su persone dal vissuto totalmente diverso da quello che s’invetrina oggi, nel passaggio dalle lentezze del tutti a piedi, all’alta velocità, dalla fame alla sovrabbondanza della quale, magari, oggi si arriva perfino a lamentarsi. Venti intervistati, alcuni ultracentenari, testimoni del loro e del nostro tempo, con la calma e la placidità di chi ha vissuto esperienze, fatiche, sudori, guerre, sacrifici senza arrendersi. Anch’essi a modo loro, semplicemente, con l’archivio della memoria dischiuso perché altri possano arricchirsi, inanellare qualche pensiero, accogliere i giorni con animo quieto: insomma, un monito silenzioso verso il meglio, raccolto e proposto da Giovanni Meccia che – afferma – lo ha già «cambiato».