Ombre Corte
Vivere non è un reato. Lavoro ambulante e diritto alla città
Gennaro Avallone
Libro: Libro in brossura
editore: Ombre Corte
anno edizione: 2020
pagine: 134
Il commercio ambulante è un lavoro. Non è né un'emergenza di ordine pubblico né un'attività residuale. In Italia è svolto da un poco più di 200 mila persone, di cui circa la metà di cittadinanza straniera. Nonostante la sua rilevanza e l'ampio numero di operatori e consumatori che coinvolge, troppo facilmente chi lo esercita non è riconosciuto come lavoratore/lavoratrice autonomo. E altrettanto facilmente, soprattutto se si tratta di cittadini stranieri o di persone dalla pelle scura, questa attività è denigrata se non criminalizzata e definita con un lessico e azioni che non attengono alle politiche del riconoscimento e della regolamentazione, ma a quelle della pubblica sicurezza: controlli, repressione, sgomberi, allontanamenti, sequestri. Il lavoro ambulante, in particolare se esercitato da stranieri, chiama in causa il diritto alla città, la sua definizione e la possibilità di esercitarlo. Al tempo stesso, richiama l'attenzione sulla natura delle politiche urbane e sulle loro finalità, sempre più volte a favorire alcune forme di consumo e turismo a svantaggio dell'inclusione e della democrazia. L'insieme delle conoscenze e delle esperienze di vita che si condensano in questo libro, in parte esito di un percorso più ampio, costituiscono un contributo importante per comprendere le condizioni oggettive e soggettive del lavoro ambulante, oggi particolarmente colpito dalla pandemia in corso. Assumendo, quindi, un punto di vista solitamente ignorato dalle cronache e dai discorsi ufficiali, membri di associazioni senegalesi e ambulanti immigrati, ricercatrici e ricercatori giovani e meno giovani, attivisti e attiviste ne propongono una lettura che si intreccia con un'analisi delle politiche urbane e dei dispositivi di razzismo sociale e istituzionale che governano le società contemporanee, compresa la nostra.
Decolonizzare la follia. Scritti sulla psichiatria coloniale
Frantz Fanon
Libro: Libro in brossura
editore: Ombre Corte
anno edizione: 2020
pagine: 170
Nell'opera di Frantz Fanon, racchiusa in un periodo di pochi anni (1951-1961), prendono voce temi decisivi che non smettono d'interrogare il dibattito sulla condizione postcoloniale: le contraddizioni delle borghesie nazionali negli anni dell'indipendenza, lo spettro del razzismo e la sua oscura riproduzione nello Stato moderno, la costruzione della soggettività africana. Con l'ostinazione di chi aveva scritto "Ci sono troppi imbecilli su questa terra, e poiché lo dico, si tratta di provarlo", nei lavori qui raccolti, per buona parte mai tradotti in italiano, Fanon ripercorre con altrettanta sistematicità le teorie psichiatriche e psicanalitiche dell'epoca. La sua è urìar-cheologia sovversiva che, di quelle teorie, rivela limiti e paradossi: un'etnologia critica dell'Occidente. Con toni a tratti profetici, i suoi scritti disegnano una fenomenologia politica del corpo coloniale nella quale affiorano molti dei problemi con i quali si misurano oggi l'etnopsichiatria e l'antropologia mèdica critica: la violenza quotidiana e invisibile che secerne la sofferenza dei dominati, il difficile incontro fra il clinico occidentale e il corpo inquieto dell'immigrato, Yeconomia morale delle sue menzogne. La psichiatria, chiamata da Fanon a riconoscere che è "impossibile guarire" in un contesto di oppressione e di arbitrio, è invitata in queste pagine a interrogare conflitti e omissioni, e a confrontarsi con l'enigma politico della differenza, della malattia e della cura.
La Rivoluzione haitiana. Scritti politici e giuridici (1789-1805)
Libro: Libro in brossura
editore: Ombre Corte
anno edizione: 2020
pagine: 177
La ribellione degli schiavi scoppiata nell’agosto del 1791 nella colonia francese di Santo Domingo, con cui si indica convenzionalmente l’inizio della Rivoluzione haitiana, distrusse l’ordine coloniale fondato sulla schiavitù e le gerarchie razziali, già minato dalla lotta dei liberi di colore che dal 1789 rivendicavano l’inclusione nei diritti di cittadinanza sanciti dalla Rivoluzione francese. L’insorgenza degli schiavi costrinse la Repubblica giacobina ad abolire la schiavitù nel 1793-94. In seguito, il tentativo di Napoleone di riprendere il controllo della colonia e reintrodurre la schiavitù, segnato anche dalla destituzione del generale e leader politico Toussaint Louverture, trasformò la rivoluzione in una guerra anticoloniale per l’indipendenza nazionale, conclusa nel 1804 con la nascita di Haiti, unico Stato delle Americhe governato da uomini neri e in cui la proprietà privata di esseri umani e la disuguaglianza fra le razze erano formalmente abolite. Il libro propone una selezione di testi che permettono di ricostruire il pensiero politico espresso dai diversi soggetti che animarono la Rivoluzione: dalla lotta dei liberi di colore all’insurrezione degli schiavi, dall’ascesa politica e militare di Toussaint Louverture fino alla guerra d’indipendenza. L’antologia rende così la complessità della Rivoluzione, percorsa anche da numerose lotte interne che condizionarono la storia di Haiti per tutto l’Ottocento, in particolare il conflitto tra l’élite rivoluzionaria, intenzionata a mantenere il sistema di piantagione, e gli ex schiavi africani, che continuarono a insorgere contro le nuove forme di lavoro forzato.
Futuri testardi. La ricerca sociale per l’elaborazione del «dopo-sviluppo»
Vincenza Pellegrino
Libro: Libro in brossura
editore: Ombre Corte
anno edizione: 2020
pagine: 167
In questo volume, dedicato al tema del futuro come “prodotto culturale”, Vincenza Pellegrino discute i risultati della ricerca sociale attuata attraverso la rivisitazione del metodo “Future Lab”. Si tratta di un tipo di ricerca-azione di lunga durata, basata sulla alternanza tra stimoli art-based, brainstorming collettivi e argomentazioni a base tematica, che favorisce un passaggio collettivo dal risentimento a forme di critica sociale. Nello specifico, la ricerca coinvolge diversi gruppi di giovani chiamati a immaginare l’evoluzione del presente in chiave prima distopica e poi utopica, per discutere infine quali trasformazioni possano “gettare ponti” verso i mondi auspicati. Ne emerge un immaginario complesso, ma espresso con rappresentazioni ricorrenti tese al superamento delle “crisi” prodotte dell’economia tardo capitalista. Vengono evocati ad esempio nuovi ordini post-statuali, forme di cittadinanza globale come diritti/doveri d’accoglienza; nuove istituzioni democratiche più propriamente “g-locali”, con la federazione tra città-stato; forme di co-gestione concreta e quotidiana delle istituzioni, a partire da una scuola “orizzontale”, da nuove forme di social housing basate sulla convivenza tra generazioni e così via. Costrutti complessi – ritenuti solitamente appannaggio di élite intellettuali e rimossi dal dibattito pubblico e mediatico – rivelano invece un immaginario sul “dopo-sviluppo” vivo in questi giovani, che nutrono forti aspirazioni a un mondo migliore. Prefazione di Vando Borghi. Postfazione di Claudio Conte.
Antropologia della città
Michel Agier
Libro: Libro in brossura
editore: Ombre Corte
anno edizione: 2020
pagine: 156
In un momento in cui la città si sfalda e scompare in vaste e sconfinate conurbazioni, lo sguardo antropologico si rivela più che mai necessario per ritrovare, senza pregiudizi né modelli precostituiti, le origini e i processi che creano lo spazio condiviso della città. L’antropologo Michel Agier sostiene e descrive un approccio situazionale e dinamico che sviluppa le tre tradizioni di indagine urbana della scuola di Chicago, della scuola di Manchester e dell’antropologia francese del contemporaneo. L’etnografia urbana e riflessiva consente di ripensare la città a partire dai cittadini e delle logiche sociali, politiche e culturali che le danno origine e la trasformano. La questione del “fare-città” è così al centro di una riflessione che si basa su ricerche condotte nei quartieri periferici, nelle “favelas” e negli accampamenti nell’Africa nera, in Brasile, in Colombia e più recentemente in Europa. Il “fare-città” è un mezzo con cui spingere oltre la rivendicazione del “diritto alla città” ed esercitarlo qui e ora. Le pratiche conflittuali o minoritarie rivestono quindi un significato radicale per il pensiero della città, perché mettono in luce un desiderio e un “appello” verso l’orizzonte di una città sognata, virtuale o ideale, che va ben oltre la sua mera attualità o le sue specifiche conseguenze. Esso riguarda tutta la città, concepita come il nome di un movimento in un contesto segnato dalla disuguaglianza. È un punto di dibattito che lega l’epistemologia (il “fare-città”) e la politica (l’agire urbano) e che l’autore propone a tutti coloro che s’interrogano non solo sull’attuale stato della città e del mondo, ma anche sul loro divenire.
Divenire invertebrato. Dalla Grande Scimmia all’antispecismo viscido
Libro: Libro in brossura
editore: Ombre Corte
anno edizione: 2020
pagine: 159
Viviamo in un mondo fuori controllo. Il pianeta, che ci ha ospitato finora, è in ebollizione e minaccia la nostra stessa esistenza. Un numero di specie al limite della nostra capacità di comprensione si avvia ogni giorno verso l’estinzione, per non parlare del millenario sfruttamento e dell’incessante messa a morte di miliardi di “animali da reddito” perpetrati con mezzi sempre più osceni. Di fronte a questo scenario, da un lato le correnti maggioritarie dell’antispecismo non sembrano in grado di fornire risposte adeguate, dal momento che, pur nella variabilità delle loro proposte, hanno continuato a ruotare attorno a politiche dell’eccezionalismo umano. Dall’altro lato, la teoria critica, restando saldamente ancorata a modalità di pensiero obsolete e inefficaci, non ha fatto caso – o finge di non fare caso – che il nostro rapporto con le specie non umane è ormai completamente insostenibile e ingiustificabile. Per iniziare a muoversi verso un antispecismo e una teoria critica non antropocentrici, questa antologia raccoglie un bestiario di saggi che trae ispirazione da alcune fra le più vitali e vivaci correnti del pensiero contemporaneo – dal realismo speculativo alle teorie materialiste derivate dal decostruzionismo derridiano, dal multiculturalismo prospettivista alle ontologie immanentiste di stampo deleuziano. Questo libro va letto come la prima mappa alternativa disegnata per orientarci nel territorio inesplorato della nostra convivenza con il resto del vivente. Saggi di Claudio Kulesko, China Miéville, Eugene Thacker, Karen Barad, Eva Hayward e Jami Weinstein, Bogna M. Konior e Yvette Granata, Dagmar Van Engen. Prefazione di Alessandro Dal Lago.
Lo spazio e la norma. Per una ecologia politica del diritto
Nicola Capone
Libro: Libro in brossura
editore: Ombre Corte
anno edizione: 2020
pagine: 124
Nell’esperienza giuridica c’è spesso la tendenza a considerare lo spazio come un oggetto a priori, un dato assunto come presupposto non dimostrato e non pensato. Eppure una norma è valida, efficace ed effettiva sempre e solo in un determinato spazio e per un certo tempo. Nonostante questa intima necessità, lo spazio sembra non avere alcuna rilevanza nel processo di produzione giuridica. Recentemente questo approccio pare essere messo in discussione dall’ecologia politica, che considera lo spazio come prodotto della continua interazione fra la dimensione ecologica della spazio naturale e la dimensione politica ed economica dell’agire umano, dimensione quest’ultima entro cui le norme sono prodotte e rese operative. In questa prospettiva, lo spazio non è più considerato come un supporto passivo su cui si proiettano gli ordinamenti giuridici, ma piuttosto come un loro fattore costitutivo e di conseguenza la norma abbandona la sua astratta autonomia, per farsi dispositivo ermeneutico imbricato nella dimensione terrestre del vivere. Lungo questa linea interpretativa lo spazio e la norma si co-implicano aprendo alla possibilità di pensare e reimmaginare un nuovo nomos della terra. Saggio introduttivo di Salvatore Settis.
Abitare la frontiera. Lotte neorurali e solidarietà ai migranti sul confine franco-italiano
Luca Giliberti
Libro: Libro in brossura
editore: Ombre Corte
anno edizione: 2020
pagine: 180
La Val Roja, piccola valle francese al confine con l’Italia, a partire dal 2015, con la chiusura di diverse frontiere interne all’Europa, si ritrova al centro di una inedita rotta migratoria che va verso il nord Europa. Migliaia di migranti restano bloccati a Ventimiglia e, nel tentativo di varcare la frontiera, finiscono per attraversare territori rurali e alpini, nonostante la capillare militarizzazione. Una parte importante della popolazione della valle si mobilita nella solidarietà, offrendo ospitalità, cura e supporto ai migranti in transito. Si tratta di quella parte della popolazione – i cosiddetti “neorurali” – che, dalla fine degli anni Settanta a oggi, alla ricerca di uno stile di vita alternativo all’insegna della decrescita, della sostenibilità rurale e di valori solidali, sceglie la Val Roja come luogo per abitare. Un’altra parte della popolazione, legata alle famiglie native tendenzialmente conservatrici, si oppone all’azione solidale, dando origine a conflitti che rafforzano le frontiere sociali preesistenti nella valle. Confini politico-territoriali che irrompono in Europa e confini sociali entrano in collisione: i neorurali della valle, oltre ad abitare la frontiera tra due Stati, si ritrovano ad abitare la frontiera sociale che li divide da un universo culturale opposto. Frutto di una lunga e intensa ricerca etnografica, il presente volume racconta l’Europa della crisi dell’accoglienza, con le sue frizioni, i movimenti solidali dal basso e i processi di trasformazione sociale che ne derivano. Prefazione di Luca Queirolo Palmas.
Al di qua e al di là dei confini. Sguardi alle radici delle migrazioni contemporanee
Libro: Libro in brossura
editore: Ombre Corte
anno edizione: 2020
pagine: 180
I saggi raccolti in questo volume mirano ad approfondire e a chiarire la complessità dei fenomeni migratori attraverso un ripensamento critico delle nostre narrazioni sulla migrazione, delle nostre modalità di trattare la differenza culturale e una messa a fuoco degli scenari sociali, politici ed economici in cui le vite di milioni di persone migranti prendono forma. Questo ripensamento si impone per almeno due ordini di ragioni: la prima riguarda l’attribuzione di senso e la possibilità di realizzare una diagnosi non “fallace” del disagio psichico, in quanto per comprendere le sofferenze e le sintomatologie di chi emigra è necessario analizzare in modo rigoroso gli scenari economico-sociali entro i quali si strutturano e ai quali spesso rappresentano una reazione, sebbene soggettivamente mediata; la seconda è una ragione epistemologica, che riguarda la nostra relazione con l’alterità e, in particolare, il ruolo che attribuiamo alle teorie e ai concetti di altre culture (concezioni dei legami sociali, dell’identità, dei ruoli genitoriali, del corpo, della malattia e della sua cura). Quale statuto attribuiamo agli spiriti dell’acqua, ai rituali di possessione, al vudù? Quanto siamo disposti ad “assumerli per intero” e a considerarli veri e propri dispositivi teorici per pensare la realtà? O quanto, al contrario, tendiamo a trattarli come credenze che devono essere superate e dissolte una volta entrate a contatto con le nostre categorie culturali? (Dalla Presentazione del ciclo di seminari).
Femminismo senza frontiere. Teoria, differenze, conflitti
Chandra T. Mohanty
Libro: Libro in brossura
editore: Ombre Corte
anno edizione: 2020
pagine: 254
Da Mumbai a Occupy Wall Street: è questo l’ideale filo rosso che Chandra Talpade Mohanty traccia nella prefazione all’edizione italiana del suo Feminism without Borders. Dal sud al nord del mondo, le donne sono protagoniste dei movimenti di lotta nati per denunciare e combattere gli effetti perversi dei processi di globalizzazione economica. Le loro battaglie contro lo sfruttamento, la privatizzazione dei beni comuni, la riproposizione di assetti patriarcali costituiscono il terreno di nuove forme di soggettività femminile, ma anche di costruzione di solidarietà transnazionali, di legami fra i femminismi del nord e del sud del mondo, dopo che si sono svelati i meccanismi che hanno riproposto, anche nei rapporti fra donne, dinamiche di potere caratterizzate da logiche di classe, razza ed etnia. Proprio a partire dalle tensioni e dal riconoscimento delle asimmetrie di potere che storicamente hanno attraversato i movimenti delle donne a livello globale, infatti, si possono individuare per Mohanty nuove forme di solidarietà che hanno come sfondo comune l’anticapitalismo e l’antimperialismo. I saggi qui raccolti discutono quindi questioni cruciali della politica e della riflessione teorica femminista contemporanea: il rapporto tra riconoscimento delle differenze e ricerca di un nuovo universalismo; il nesso tra riflessione teorica e attivismo femminista; le lotte delle donne del sud del mondo contro le politiche neoliberiste e la ricerca di nuove pratiche di resistenza e di solidarietà fra donne; la relazione esistente, infine, fra politiche della conoscenza e pratiche politiche femministe transnazionali.
Discorso sul colonialismo. Seguito dal «Discorso sulla negritudine»
Aimé Césaire
Libro: Libro in brossura
editore: Ombre Corte
anno edizione: 2020
pagine: 130
Discorso sul colonialismo è sicuramente uno dei testi politici più significativi del Novecento. Apparso per la prima volta nel 1950, ma ristampato a Parigi nella sua versione più nota nel 1955, il discorso di Aimé Césaire ha profondamente influenzato diverse generazioni di attivisti in tutto il mondo. La sua denuncia del sistema di dominio economico e culturale alla base del colonialismo costituì infatti un punto di riferimento fondamentale non solo per le lotte anticoloniali in Africa, in Asia e nei Caraibi, ma anche per i movimenti politici più radicali degli anni Sessanta e Settanta nel continente latinoamericano così come per i gruppi maggiormente impegnati negli Stati Uniti nella conquista dei diritti civili e nello sviluppo del Black Power. Ma non solo. Portando alla luce la “concezione ristretta e limitante, parziale ed esclusiva e, tutto sommato, odiosamente razzista” dell’uomo alla base di molti dei testi più importanti della cultura umanistica europea del suo tempo, Discorso sul colonialismo finiva per gettare le basi di quello che qualche anno dopo sarebbe diventato un nuovo tipo di pratica critica e di analisi testuale: la “teoria del discorso coloniale”. Principale ispiratore della poetica della negritudine, autore di importanti studi storici sulla schiavitù e sul colonialismo e di originali opere teatrali, Aimé Césaire è sicuramente uno dei protagonisti principali del pensiero anticoloniale del Novecento e un anticipatore di molti dei temi oggi al centro della critica postcoloniale. Postfazione di Baubacar Boris Diop.
Per una teoria generale dello sfruttamento. Forme contemporanee di estorsione del lavoro
Christine Delphy
Libro: Libro in brossura
editore: Ombre Corte
anno edizione: 2020
pagine: 155
Le nostre società si reggono in gran parte su due pilastri interconnessi: il modo di produzione capitalista e il modo di produzione patriarcale (o domestico). L’estorsione del lavoro, salariato o no, ne è un fondamento. Se l’uno va a vantaggio dei capitalisti, l’altro opera a beneficio degli uomini. Il lavoro domestico è sia una palese manifestazione della disuguaglianza di genere sia una sfida per le strategie dell’uguaglianza, poiché l’azione militante vi trova spesso il suo limite. In effetti, l’“ineguale divisione” dei compiti domestici – un ossimoro che indica l’assenza di condivisione – non sembra obbligata, ma il risultato di accordi amichevoli tra due adulti liberi. Tuttavia, non appena due persone di sesso diverso formano una coppia e vivono insieme, la quantità di lavori domestici svolti dall’uomo diminuisce mentre aumenta quella della donna. E il lavoro gratuito è lo sfruttamento economico più radicale. Vedendo lo sfruttamento solo dove c’è un plusvalore, la teoria marxista, che si voleva di liberazione, ha prodotto concetti che non solo non rendono adeguatamente conto dello sfruttamento salariale, ma sottovalutano anche altri tipi di sfruttamento, sia esso lo sfruttamento domestico, la schiavitù o il servaggio. Il modo di produzione capitalista, nella misura in cui serve il modo di produzione patriarcale, non è puramente capitalista, ma anche patriarcale. Da qui, per l’autrice, la necessità di rivisitare la teoria marxista mediante una teoria generale dello sfruttamento.