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In preda a una tempesta creativa-emozionale dove il vento va dove vuole, senza guida, come reazione alla vita alienante, la poesia di Michele Antonio Grigato emerge con forza per il suo rigore di ricerca di un nuovo mezzo espressivo che di per sé si pone come pensiero filosofico guida, nella scia di un ventesimo secolo che ha fatto della parola, nel suo suono e nel suo canto, il fulcro della ricerca dell’essenza. La parola assume quindi per il poeta di Namas-té il valore di pietra filosofale, guaritrice e capace di trasformare in oro il vile elemento metallico e come tale tocca tutti gli aspetti della emozione libera nella sua relazione con il pensiero analitico limitante e riduttivo, in un continuo passaggio tra il contingente e l’essenza, in cui il reale diviene esso stesso essenza e viceversa.

Attraverso il racconto della preparazione del viaggio di una famiglia, si narra l’epopea della traversata transoceanica in nave e gli anni del primo insediamento nella terra argentina. La fuga dalla vita rurale verso la speranza di una vita nuova in un mondo nuovo, i sacrifici immani degli emigranti, sono il filo conduttore di un romanzo le cui ambientazioni storiche sono suffragate da fatti realmente accaduti.

Liriche, quartine, oracoli e architetture poetiche, lievi e delicate come le foglie, ormai non più disperse, misteriose e ambigue come i responsi della Cumana, che rivelano nell’intensità delle immagini, nel gioco prezioso e musicale delle parole, sollevate al visibile, distillate al paesaggio esteriore e interiore, alla natura interna ed esterna, trasposte dalla spazialità di un Regno antico, greco, italico, orientale, a tratti nordico, gotico, preraffaellita, modernista (come movimento letterario), una quotidianità contemporanea poetica che ci parla dell’eterno, dell’umano e del divino, che «attraversa con la sua voce migliaia d’anni per opera del nume» (Eraclito).

Composizione di liriche dallo stile molto personale che basa la comunicazione non solo sul significato verbale, ma anche su quello semiotico attraverso la disposizione di versi liberi e irregolari in una grafia che di per sé è simbolica. La comunicazione avviene, dunque, sia a livello visivo che fonico. L’impatto suggestivo della creazione viene accresciuto dalla brevità delle composizioni, essenziali negli elementi verbali che, pur non sottostando alla struttura poetica dell’Haiku, ne raccolgono lo spirito che fa del “piccolo” il simbolo dell’”infinitamente grande”, attraverso l’uso accurato dell’astrazione spazio - temporale.

La musica fa da sfondo a una storia che ha dell’inverosimile. Inizia come una storia d’amore che ben presto prende una piega del tutto inaspettata, di odio, violenza e sangue. La prematura scomparsa del figlio Rodolfo sconvolge la tranquilla quiete di una famiglia piemontese. Si ipotizza un incidente aereo avvenuto a metà strada tra Kathmandu e l’Italia, nei pressi del Mar Caspio, in seguito a una vacanza studio. Il fattaccio getta il fratello Marcello in uno stato di profonda prostrazione da cui si solleverà solo in seguito alla conoscenza di Alisha, la bella ragazza nepalese dal nome esotico che gli prenderà il cuore. Marcello se ne innamora perdutamente e, tornato in Italia, avrà occasione di ospitarla per alcuni mesi nella casa di Chiesa in Valmalenco a nord di Sondrio, assieme alla figlia Lisa, una ragazzina sveglia portatrice di un handicap uditivo importante. Purtroppo il destino mischia le carte e quando il fratello dato per morto ricompare miracolosamente rivestendo il ruolo del rivale in amore, la contesa fra i due sfocerà nel dramma.

La letteratura di viaggio nasce come esigenza di lasciare traccia dei propri spostamenti e narrare ai futuri viaggiatori mondi sconosciuti. Il saggio analizza le scritture di viaggio da Omero a Calvino, passando dall’Eneide all’Epopea di Gilgamesh, a Il Milione di Marco Polo, al Gran Tour in Europa.

Angela è nata con il marchio del demonio, vivrà tutta la vita nella paura di esserne posseduta. Nella sua dimensione spaziale, il romanzo è ambientato in un paesino di poche anime dedito all’agricoltura che ha alle spalle una storia di fame, morte e di orgoglio, storia di uomini e donne dalla forte tempra sannita che per secoli hanno sudato sulla terra arida e petrosa, ripetendo generazione dopo generazione gli stessi gesti, passando da un padrone all’altro, da un tributo all’altro, da una vita brutale all’altra, virtuosa a modo suo, severa, spesso tragica, basata sul “tu devi” e sul culto di un Dio intransigente, ligia ai Comandamenti e al rispetto della Chiesa, pur tra riti pagani e superstizione.

Nel 1835, alla fine del dandismo di Giorgio IV, l’Inghilterra era un paese sull’orlo del fallimento per l’enorme debito pubblico, l’orrore delle guerre napoleoniche, la crescente miseria del popolo, la carenza del sistema giudiziario, la crisi dell’agricoltura e le proteste dei lavoratori le cui condizioni erano disumane. In questo clima storico si svolge la trama del romanzo, le cui protagoniste si lasciano alle spalle Londra, per risiedere in Scozia, terra descritta con accuratezza e amore, per realizzare il loro programma di fondazione di un complesso educativo. Il romanzo ci offre generosamente difficoltà, progetti, pensieri, riflessioni e anche i matrimoni delle protagoniste che da vere portavoci dello spirito liberatorio dell’epoca, scelgono da sole il proprio compagno e lo sposano per amore e non per ubbidienza alle scelte fatte dall’interesse dei loro genitori. Femminismo? Certo, ma con moderazione, accompagnato da un certo ottimismo, che trapela, nel periodo finale, dalla sicurezza delle ribelli di avere l’appoggio della futura regina.

La scala che Vincenzo percorre ogni giorno per tornare a casa è la metafora di un viaggio dentro al proprio io...alla ricerca di un senso da dare alla nostra vita. Con Vincenzo 'Il Vittorioso', chiamato così dalla "Leonessa", la sua madre 'ingombrante', ci si addentra in una trama così coinvolgente da non potersi fermare di leggere fino alla fine. Pagine intense, in cui il male è all'opera e l'amore si manifesta nella molteplicità delle sue forme. Cosa farà dire a Vincenzo "Sono nato domani"?

Dal linguaggio ricercato, apparentemente semplice, e per questo tanto più suggestivo ed evocativo, la silloge Dispersione ci rivela “mozziconi di realtà non meglio precisati/ rinchiusi da piccole parentesi” in cui il poeta rivela la sua concezione della vita, la sua visione della natura, simbolo dell’interiorità poetica, e le interpreta con accostamenti lirici del tutto originali, ricchi di fascino. La sovrapposizione natura-Io diventa una compenetrazione bilaterale dall’alto impatto emozionale, coinvolgente dal punto di vista logico ed esperienziale. Dalla versificazione precisa, ma mutevole nel ritmo, le liriche evocano quindi un mondo interiore ricco e suggestivo, portato alla luce da semplici semantemi portatori di significati complessi.

Chiuso nel rimpianto e nel dolore come in una autentica prigione da cui non vuole e non può uscire, il giovane violinista rinuncia a ogni contatto con il mondo, avvertendo come un tradimento il vivere e la sua stessa musica quando lei non è più con lui a condividerli. L'infinito dolore, attentamente coltivato, non trova sfogo se non nelle allucinazioni, vere visioni che assumono l'aspetto del reale, un incubo a occhi aperti, soffocate solo apparentemente nell'assenzio che invece le nutre, rendendole più vive e mostruose.

"Dicono che uno dei mestieri più antichi del mondo sia la prostituzione, ma ve n’è un altro altrettanto antico: quello del sicario. I romani li chiamavano Jugular, con il passare degli anni si sono evoluti e dai pugnali usati per uccidere Cesare sono passati nello scorrere del tempo a mezzi sempre più sofisticati. Può uno di questi individui avere un proprio codice etico, una sua "morale"?"